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lunedì 24 marzo 2025

RESPIRATE!

La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere

(Plutarco)


Il percorso di apprendimento della musica e di uno strumento è molto più che l'acquisizione di abilità tecniche o la fedele riproduzione di spartiti. È, nella sua essenza, un microcosmo dello sviluppo umano, un percorso lungo il quale le facoltà del pensiero, della percezione e della volontà sono man mano raffinate e armonizzate. Comprendere lo studio come un processo di profonda coltivazione umana significa risvegliare lo scopo sacro della musica stessa: non come intrattenimento, non come sfida sociale, ma come ponte tra ciò che è terreno e ciò che è senza tempo.


Nei primi anni di vita, gli esseri umani imparano prima attraverso l'imitazione, poi attraverso il rispetto e la fiducia nella guida, e solo in seguito attraverso lo sviluppo di un giudizio indipendente. Allo stesso modo, un giovane musicista inizia imitando il suono, il gesto e il carattere. Man mano che lo sviluppo progredisce, il musicista cerca la direzione di un'autorità di fiducia, che sia un insegnante, una tradizione o la voce del compositore stesso. Giunto alla maturità, avrà la responsabilità dell’interpretazione, momento specialissimo dove le decisioni non nascono più dall'ego ma dalla convinzione interiore allineata con la verità della musica.


Questo ritmo triplice (imitazione, riverenza, autonomia) rispecchia l'arco di ogni effettiva crescita artistica e personale. Gli strati più profondi di comprensione e sfumatura saranno perduti se un musicista interromperà questa evoluzione naturale insistendo prematuramente sull’espressione autonoma. Una frase non è veramente "posseduta" a meno che non abbia attraversato queste fasi di assorbimento, trasformazione e sintesi.


L'atto di suonare o dirigere l’orchestra coinvolge l'intero essere umano. Pensiero, sentimento e volontà non sono categorie astratte: si manifestano vividamente in ogni momento di impegno musicale. Il pensiero vive nella struttura: forma, fraseggio, modulazione, contrappunto. Il sentimento respira nel tono, nell'equilibrio, nel contrasto dinamico e nel silenzio. La volontà appare nel gesto, nell'attacco, nella coordinazione fisica e nel ritmo. La vera arte risiede nella loro integrazione. L'eccessiva enfasi sul pensiero crea esecuzioni cerebrali, senza vita e di sovente sconnesse. L'emotività eccessiva, staccata dalla struttura, porta al sentimentalismo. La volontà grezza, non plasmata dal pensiero e non animata dal sentimento, si esprime in un'esibizione meccanica. Solo la loro armonia apre la porta alla viva interpretazione.


Il mondo attuale tende a sopravvalutare la cognizione a spese delle altre due forze. L'analisi tecnica è elogiata, le competizioni premiano l'accuratezza e la chiarezza e ai giovani è spesso insegnato a pensare più che a percepire e sviluppare emozioni corrette. Tuttavia, nell'atto vivente della musica, il pensiero è l'elemento più fragile, perché non agisce da solo. Deve essere infuso di sentimento per radicarsi ed espresso attraverso la volontà per prendere forma. Per questo motivo è importante e necessario, direi vitale, esercitarsi non solo sulle note scritte in partitura, ma anche sulla coltivazione dell'immaginazione e sulla liberazione della volontà.


L'immaginazione non è fantasia. È la facoltà attraverso cui l'artista percepisce la possibilità. Inizia con il potere di immaginare interiormente come potrebbe suonare la musica prima di essere suonata. L'immaginazione è la fonte invisibile del suono, dell’intensità, dell’umore e dell’atmosfera. Attinge a realtà future, non solo ad esperienze passate. Esercitare l'immaginazione significa sedersi di fronte alla partitura come esecutori di istruzioni e scultori di suoni viventi. Non ci si deve chiedere: "Come suonerei correttamente questa nota?", ma piuttosto: "Quale suono desidererei ardentemente far nascere qui?"


La volontà, nella sua forma pura, è silenziosa e duratura. Non è testardaggine o spinta di energia, ma la determinazione invisibile che torna al banco, sempre più, per ascoltare, affinare e costruire. Ogni gesto autentico nel suonare o dirigere l’orchestra è un atto morale, un'incarnazione della chiarezza interiore. Se un gesto nasce dalla fretta o da uno sforzo disconnesso, il suo carattere mancherà di integrità, ma porterà verità soltanto  se nato dalla volontà, quindi guidato dall'ascolto interiore e plasmato dalla chiarezza dell'immaginazione.


La pratica e l’esibizione continua, non è una ripetizione fine a se stessa. Non è l'accumulo di ore, ma l'allineamento consapevole del nostro corpo, della nostra anima e del nostro spirito per potere ottenere una visione sana. Ogni momento è un'opportunità per sintonizzare se stessi e per ricalibrare l’equilibrio, il ritmo e la quiete interiore. Ciò significa non solo evitare errori, ma coltivare il giusto stato profondo. Si può eseguire una singola frase musicale cento volte, ma non si otterrà nulla di significativo se lo spirito sarà assente. Se si studia con riverenza e concentrazione anche una volta, si mette in moto qualcosa che continuerà a lavorare interiormente oltre il momento e resterà negli anni a venire.





La respirazione è fondamentale. Nel corpo umano, il respiro è il ponte tra il sistema nervoso e il sangue, il ponte tra la coscienza e la volontà, tra la riflessione e l'azione. Anche la musica è fatta di respiro. Fraseggio, tempismo, articolazione e ritmo sono tutte espressioni del respiro interiore ed espiratorio. Se si trattiene il respiro, la musica diventa rigida. Se si ignora il respiro, la vita della frase crolla. Respirare musicalmente significa collegare la pulsazione del brano con quella personale e oltre a ciò, con il grande ritmo della vita stessa.


Inoltre, il riposo e il sonno regolare svolgono un ruolo nascosto ma vitale nel processo artistico. Quando il corpo dorme, la mente cosciente abbandona la sua presa e iniziano processi più profondi. La comprensione musicale spesso nasce non durante la pratica ma nel silenzio, durante il sonno, i sogni, le passeggiate e i momenti di quiete. Proprio come un bambino deve crescere attraverso l'istruzione, il riposo e l'integrazione, l'intuizione musicale deve essere lasciata emergere piuttosto che forzata.


Il compito dell'artista non è impressionare o dominare, ma servire. Questo servizio non è servitù, ma devozione. Quando serve la musica, il musicista diventa più umano e più sveglio. L'ego non si dissolve nella passività, ma nella riverenza attiva. Non ci si "esprime", ma si permette alla musica di passare attraverso se stessi, purificata e chiarita. Questa non è umiltà come debolezza, ma come forza: la forza di ascoltare, aspettare e agire con precisione e libertà interiore.


In definitiva, l'arte musicale non è separata dall'arte di vivere. Le stesse forze ci plasmano: gli stessi ritmi che guidano il fraseggio guidano le nostre relazioni. Lo stesso respiro che anima un passaggio anima il cuore. Un musicista che suona davvero è un essere umano che si forma di nuovo ogni giorno. Questa è l'essenza dello studio della musica: non la padronanza di uno strumento o, nel caso del direttore d’orchestra di una gestualità raffinata, ma la perfezione e l’equilibrio del mondo interiore. Tutto, allora, vivrà.

domenica 26 gennaio 2025

Direzione d'Orchestra Artificiale


Siamo ormai tutti consapevoli che la caratteristica dell'intelligenza artificiale è quella di non possedere pensieri analogici nel senso umano del termine. Il modo di elaborare le informazioni si basa su modelli matematici e reti neurali che permettono di comprendere e generare risposte, ma che ovviamente non funzionano allo stesso modo del pensiero analogico umano.

Il pensiero analogico caratteristico degli esseri umani implica la capacità di stabilire connessioni e similitudini tra concetti apparentemente differenti, utilizzando metafore e analogie tese a comprendere nuove situazioni e a sviluppare sentimenti. L'IA può analizzare e confrontare informazioni, ma lo fa attraverso specifiche elaborazioni computazionali, non attraverso il processo intuitivo e creativo proprio degli esseri umani. Può certamente aiutare a esplorare concetti, fare ragionamenti comparativi e trovare somiglianze tra diverse idee, principalmente in ambito scientifico, ma questi processi sono il risultato di rigidi algoritmi e di un addestramento su grandi quantità di dati, non di un vero pensiero affine, analogico e quindi spontaneo.

Soltanto il cervello dell'uomo può sviluppare analisi di astrazioni o ricerca di connessioni stimolanti tra le diverse informazioni ricevute durante il periodo del suo più o meno lungo apprendimento e della sua educazione, trasformando il pensiero in quella che tutte le culture, da sempre, hanno definito come "anima". Di certo, quest'ultima non è descrivibile, essendo essa stessa una pura astrazione divenuta concetto e trasformatasi in percezione intima. Per secoli, l'uomo ha condiviso o subito convenzioni sociali che ne hanno plasmato i comportamenti, nel bene e nel male. Nonostante la generale brevità della vita fisica e degli ovvi disagi che riguardavano tutti, disgraziati e potenti, l'umanità è riuscita a sviluppare idee straordinarie e realizzarle in ambito scientifico e artistico, tutte attraverso lo sviluppo di grandi intuizioni o soltanto grazie a semplici ed incredibili fantasie letterarie e sensazioni personali. 

Col nuovo secolo, dapprima con l'ingesso graduale del web in tutte le case ed improvvisamente con lo sviluppo esponenziale dell'IA, la capacità di sviluppare un pensiero autonomo importante e delle sue relative emozioni è molto diminuito e continuerà a diminuire. La facilità di ottenere risposte e di conseguenza un'incapacità graduale di sviluppare un'importante opera di ricerca personale che non sia esclusivamente un accumulo gratuito di informazioni, ha contribuito a diminuire lo scambio emotivo fra individui e l'elaborazione sensibile di una parte del pensiero, quella che trasforma le nostre intuizioni in comportamenti fisici vitali e più o meno complessi e fondamentali: un semplice gesto, un ammiccamento, uno sguardo, una carezza, un abbraccio o un bacio.  Una diminuzione pericolosa dell'empatia.

Gli ambiti nei quali oggi l'uomo si muove con disinvoltura grazie alla sua immedesimazione coi propri simili sono molto diminuiti. Il contatto fisico giornaliero col prossimo è riservato a poche fortunate categorie, spesso le più semplici a livello sociale o quelle dedite ad un rapporto di vicinanza continuativo, come ad esempio chi opera nell'ambito educativo. Queste considerazioni valgono soprattutto per le variegate società del nostro mondo "occidentale" e decisamente meno per altre che ai nostri occhi continuano ad apparire meno evolute. L'abbandono di molte attività fisiche e manuali a favore di altre più intellettuali ha contribuito all'impoverimento di molti dei nostri gesti quotidiani, quelli più facilmente intellegibili e dei loro stretti sottintesi. 

In ambito artistico-musicale c'è la singolarissima attività del direttore d'orchestra, un tempo grande creatore di atmosfere, depositario di verità quasi assolute, a volte demone spietato o in altri casi spirito angelico, ma sempre molto manifesto nella sua opera e palese nelle intenzioni. La grandezza di certi direttori si è manifestata spesso in concomitanza dell'unione con orchestre normali, se non mediocri e comunque bisognose di allenamento. In quei casi, ha potuto manifestare le proprie abilità tecniche e di persuasione, talvolta accolte e gradite, talvolta sopportate per necessità e intimamente rifiutate. Di certo, l'azione di costoro si è rivelata sotto molti aspetti speciale, in grado di modificare nel profondo il pensiero e l'opera dei musicisti. Il criterio analogico col quale operavano era evidentissimo. Un giorno, durante una prova con l'orchestra della NBC, Arturo Toscanini non riusciva ad ottenere la leggerezza che un brano richiedeva. Ad un certo momento estrasse il fazzoletto candido dal taschino della giacca e lo lanciò in aria. Esso cadde silenzioso fra gli orchestrali, aprendosi come un paracadute. In un secondo riuscì a farsi intendere mediante un pensiero semplice accompagnato da un'altrettanta semplice azione, entrambi derivati dall'unione perfetta di un concetto razionale e di uno totalmente fantasioso. L'effetto fu assicurato, senza ulteriori richieste verbali o contenimenti gestuali.


Negli ultimi decenni, complici i numerosi fattori che hanno diminuito la nostra percezione silenziosa della vita e la continua ricerca di certezze, nonché l'urgenza di ottenere un'apparente e appagante perfezione, i musicisti si sono sempre più affidati alla tecnologia affinché la propria opera fosse in linea coi canoni estetici dei tempi e soprattutto non fosse oggetto di critiche. Il dovere di riascoltarsi quasi in tempo reale ha esacerbato l'autocritica a senso unico ed ha consumato l'immediatezza dell'esecuzione musicale, condannando senza appello ciò che è nella natura umana: la possibilità di sbagliare. 

Esistono errori ed errori. In filosofia, l'errore indica qualcosa di falso che appare vero, o viceversa, nel campo a cui si riferisce il giudizio o la previsione e che quindi genera una sostanziale incompatibilità. L'errore può essere di natura pratica, quando si violano norme morali o principi che rendano efficace l'azione, o di natura dottrinale quando si giudica vero ciò che è falso o falso ciò che è vero. Come in fisica, essi possono essere anche di natura sistematica ed essere dovuti a varie cause dipendenti dal criterio di misurazione e dalla capacità di analisi dell'osservatore. Come nella quotidianità, se uno strumento di misura non funziona, come ad esempio una bilancia, sarà impossibile ottenere il peso esatto di un oggetto, e la mancanza di abilità o di conoscenza dello strumento da parte di chi effettua la misurazione e la valutazione del risultato, sia per caso o per eventuale tornaconto personale, causerà un giudizio errato o corrotto. In questo caso è dato assenso ad un giudizio realizzando un collegamento tra volontà e intelletto. L'errore riguarda tutta la nostra esistenza nel sapere e nell'agire, laddove si incontrano concetti fondamentali come opinione, colpa, dolore e felicità. La manifestazione spontanea di questi sentimenti e di queste sensazioni dovrebbe essere il principale elemento per la garanzia della libertà di espressione dell'individuo. Nel caso del particolarissimo ruolo del direttore d'orchestra, musicista che opera senza contatto fisico con lo strumento ma soltanto attraverso segnali del corpo, ultimo passaggio per la trasmissione dell'idea musicale già formata, la collaborazione con musicisti affini per sensibilità e passione è fondamentale.

Sfortunatamente oggi ciò avviene raramente, per il semplice motivo che l'alto standard qualitativo raggiunto dalle orchestre e la brevità del tempo a disposizione per allestire le esecuzioni, costringe ad ottimizzare i tempi e i modi, forzando i direttori ad accontentarsi di esecuzioni già nel DNA delle orchestre. Intendo dire che per riuscire a modificare le intenzioni di musicisti navigati, che hanno già eseguito decine e decine di volte un repertorio, sarebbero necessari tempi lunghi e non più in linea con l'economia richiesta dal mondo della musica. Soprattutto, sarebbe fondamentale la collaborazione emotiva dei singoli musicisti, certamente non così diffusa.

Nella veste di musicista navigato e di insegnante appassionato so di operare in tempi più facili di quelli da me vissuti in gioventù, per via dei molti agi oggi alla portata di tutti ma decisamente più difficili per via dei continui cambiamenti in atto e dei molteplici condizionamenti tecnologici che hanno modificato i comportamenti emotivi generali ed ai quali è difficile stare al passo. Smuovere emotivamente un giovane all'inizio di questo singolarissimo universo estetico, che richiede un'infinità di conoscenze ma soprattutto sapienza nel suo significato più vasto, è un'impresa che richiede attenzione infinita verso il singolo e l'abbandono totale di quei parametri oggettivi adatti più all'ambito scientifico che a quello artistico. Se dovessi accontentarmi di impartire le banalità tecniche da tutti conosciute, la mia opera sarebbe totalmente inutile. Nulla rimane come prima, per cui non mi meraviglierei che a causa di futuri avvenimenti contrari alla natura umana che oggi procurano a tutti noi grande stupore e spasmodica attesa, tornerà necessario, nonché indispensabile, un approccio alla vita in generale più lento e più ponderato. In questo senso l'IA, se sapremo tenerla a bada da pericolosissime auto-evoluzioni, potrà garantirci quel tempo speciale a nostra disposizione.

Bertrand Russell, il celebre matematico e filosofo inglese, è risaputo che non amasse il lavoro. Nel suo “Elogio dell’Ozio” del 1932, dichiarò che in una società più efficiente, ognuno avrebbe potuto lavorare solo qualche ora al giorno e il resto della giornata dedicarlo ad altre attività particolari come la scienza, la pittura, la scrittura. A mia memoria non citò la musica, che in gioventù fu per lui una sorta di tormento, sembra a causa degli obblighi imposti da un'acida insegnante...