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domenica 27 dicembre 2020

Le Arti dello spettacolo e la pandemia del 2020

 

All'inizio di questa inattesa ma prevedibile pagina della nostra storia, sicuramente pochi fra noi si sono subito resi conto delle immediate trasformazioni sociali, ancor prima che economiche, alle quali saremmo andati incontro e alle quali ci saremmo dovuti inevitabilmente adattare. I tempi storici e gli avvenimenti ad essi collegati sono sempre imprevedibili. Si sa quando inizia una guerra, spesso non si sa chi l'ha iniziata e nessuno ne conosce la durata. Questo periodo, sotto certi aspetti possiamo accomunarlo a quello dei conflitti, se non con l'eccezione che per tutta la loro durata la vita sociale delle persone, seppur frantumata dagli eventi, alla prima occasione tende a saldarsi in occasione di ogni situazione sicura.  Al contrario, durante questa pandemia dove il motto era e tuttora è l'orrenda unione di parole "distanziamento sociale", i rapporti fra le persone sono divenuti sempre più rari, egoisti, tesi e sospettosi, fino al recupero di un termine come "negazionista", che si sarebbe dovuto associare a quello pressoché mai pronunciato di "collaborazionista". Ma si sa, in momenti come questi la stampa e i media in generale non mancano mai di trovare il modo più bizzarro ed estremistico per definire le persone e gli avvenimenti. 

Fatto sta, che tutto il clima di paura scaturito a causa di un evento al quale il nostro mondo non era più abituato, ha innescato una serie di reazioni a catena che hanno in pochi mesi distrutto abitudini secolari, certezze, ideali, riti, idee e miti. Fra le categorie che hanno subito la peggiore batosta c'è quella degli artisti. Musicisti, ballerini e attori si sono in brevissimo tempo impoveriti non soltanto economicamente, ma anche per aver perduto quel momento di visibilità che per questo tipo di figure, da sempre, è integrante della loro arte e necessario nutrimento. Ad esempio, per i musicisti i tentativi di porre rimedio alla carenza di vita musicale attiva con surrogati di tipo "liquido" sul web e confinati entro la risoluzione di qualche pixel, con la compressione dei suoni e l'inevitabile azzeramento della prospettiva fisica, hanno mostrato sin da subito la loro debolezza, se non addirittura l'inconsistenza.
La fruizione dell'avvenimento artistico, legata al finissimo rapporto col pubblico costituito dal riverbero ambientale ed emotivo, si è risolta con una specie di cartolina virtuale, un segnale per comunicare agli amici, ai propri cari e agli sparuti appassionati collegati online un messaggio di esistenza in vita e di speranza, in attesa di riprendere tutto come prima. E qui sorge spontanea la domanda: ma sarà tutto come prima? Personalmente, mi sono già dato la risposta ed è un "probabilmente no". Ora vi spiego perché.

Chiunque abbia frequentato un teatro o una sala da concerto sa che il pubblico, da sempre, è più o meno sempre quello. Nei luoghi più deputati all'ascolto, soprattutto nelle grandi città, chi li frequenta appartiene di sovente a quelle poche migliaia di affezionati che con regolarità si spostano dal teatro d'opera alla sala da concerto, ricalcando un antico rito di partecipazione spesso legato alla presenza di artisti o repertori molto conosciuti. In pratica, gli abbonati alla routine. Sono anche i medesimi che possono permettersi una più o meno regolare presenza, per il semplice motivo che non sono soggetti ad abbassare la saracinesca alle 19, se non addirittura alle 24, quelli che dopo aver fatto anche due ore di viaggio dal luogo di lavoro a casa non vedono l'ora di andare a letto e tutta quella infinita tipologia di persone che, obbligatoriamente, può soltanto appassionarsi a distanza. Una volta avveniva per mezzo della radio, poi coi dischi, i cd ed ora col web. Quindi, apparentemente, nulla di nuovo sotto il sole, ma oggi c'è una variante complessa: la paura del contagio e della morte rischia di superare la forza della passione. Sarà un problema superare questo "impasse", soprattutto di natura psicologica.

La chiusura "sine die" di migliaia di teatri e sale da concerto in tutto il mondo, con la relativa enorme perdita delle forze umane, non fa sperare in una ripresa normale, per lo meno a breve termine. Il MET, come altri teatri nel mondo, ha chiuso mandando a casa più di mille dipendenti, con una perdita di 150 milioni di dollari. A questa comune situazione dobbiamo aggiungere tutto l'indotto, un indotto che si sa dove inizia, ma che sappiamo non avere fine. Rimettere in moto una macchina come questa non è impresa da poco. Non saranno sufficienti i contributi per chi se li può permettere, ma sarà necessaria una totale rivisitazione del mondo musicale, a iniziare dai modi e dai tempi che fin qui gli sono appartenuti. Se la prevenzione di altre future ed inevitabili pandemie è già iniziata con un riassetto dei tempi di spostamento delle persone e la differenziazione degli orari per molte attività, dalla scuola ai servizi, è inevitabile che anche il mondo delle arti dello spettacolo ne dovrà subire le logiche conseguenze. 




Quasi cent'anni fa, il filosofo e matematico Premio Nobel Bertrand Russell scriveva: "La tecnica moderna consente che il tempo libero, entro certi limiti, non sia una prerogativa di piccole classi privilegiate, ma possa essere equamente distribuito tra tutti i membri di una comunità. L’etica del lavoro è l’etica degli schiavi, e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi". Il famoso motto "lavorare meno, lavorare tutti" ovvero, l'obiettivo di favorire l’equilibrio tra vita privata e lavorativa. Siccome questo principio sacrosanto riguarda tutti ed oggi, in un periodo in cui sotto certi aspetti il Comunismo è uscito dalla porta di servizio vestito da straccione ed è rientrato dalla finestra con gli abiti falsi griffati, non possiamo permetterci di ignorare la realtà delle cose. O ci accontentiamo del passato, con le inevitabili conseguenze di morte lenta e certa, o ci rinnoviamo davvero. 
Il rinnovamento dovrebbe partire da logiche articolate ma semplici. Ad esempio, il rito del concerto legato a momenti speciali, per musiche speciali e il suo aspetto davvero esclusivo, dovrebbe tornare alla sua logica "aristocratica", spogliandosi di quel logoro vestito "democratico-popolare" che per un mondo ignorante, abitudinario e a volte insensibile qual è quello della maggior parte del pubblico di oggi, legato ai "pareri altrui", di questi tempi poco si presta ad essere indossato. Il coraggio delle scelte è fondamentale. In quest'ottica, l'ideazione di nuove forme di impegno da parte dei musicisti, dei ballerini o degli attori, affinché possano donare la loro opera in ogni momento della giornata e non mostrare soltanto la punta dell'iceberg, potrebbe essere motivo di un maggior coinvolgimento e vera diffusione dell'arte e del suo mondo attivo, fatto di donne e uomini che come gli altri lavorano sodo. 

Ecco, pur mantenendo gli equilibri e le gerarchie necessarie al valore dell'opera artistica e degli artisti, nuovi momenti di apertura per mostrare il nostro mondo e condividerlo, sarebbero davvero auspicabili. Se con il nuovo ordine delle cose ci saranno intere comunità che potranno soltanto assistere al momento di creazione di un'interpretazione, anziché magari alla sua sola esecuzione finale, perché non consentire loro di godere queste occasioni, caratterizzate da altrettanto nobile valore? Aprire le prove di un concerto, di un'opera o di un balletto non potrebbe essere uno stupendo momento di condivisione? Certo, questo implica un ridimensionamento della figura mitica dell'artista in veste di paladino, unico e quasi immortale difensore di un modello interpretativo ormai un po' desueto e di un suo rinnovamento. Chi gestisce l'arte, dovrebbe avere il coraggio delle nuove scelte: nuovi artisti, nuovi compositori e nuovi repertori.

L'operazione andata in scena con l'apertura del 7 dicembre 2020 al Teatro alla Scala è stata la dimostrazione di quanto questo mondo sia ancora ricoperto di muffa e di come, pur in un momento difficile, non ci sia stato il coraggio di proporre alcuna novità. Una minestra abilmente riscaldata, guarnita con indubbia passione da cuochi esperti ma senza idee e senza audacia da parte di un teatro che da sempre si propone come modello.
Sarà compito delle nuove generazioni di artisti osare, rinunciando un po' alla personale visibilità e valorizzando l'arte con un nuovo pensiero e con una nuova azione. Chi oggi fa ingresso nel mondo dell'arte, musicista o attore che sia, se è un vero artista ha molte responsabilità. Oltre che su sé stesso dovrà puntare molto sul futuro mantenimento in vita dell'arte, nonché della bellezza nel suo complesso, iniziando con l'amore e il rispetto per essa, nutrimenti indispensabili per poterla far vivere in ogni occasione, in ogni futuro.