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sabato 22 agosto 2020

Generazioni

 


Quando sento dire che le nuove generazioni sono eccessivamente coccolate, senza spirito di sacrificio, che devono impegnarsi di più e assumersi responsabilità, mi tornano in mente le medesime parole ascoltate in gioventù. A parte l'attuale momento inatteso colmo di terrore, ansia, bugie e mezze verità, credo che tutte le nuove generazioni, periodi di vere e lunghe guerre a parte, abbiano usufruito da sempre di un benessere superiore a quello dei loro genitori. Dall'invenzione della ruota, alle macchine calcolatrici di Pascal e Leibniz nel 1600, alla macchina a vapore nel 1700, all'illuminazione elettrica nel 1800 e fino all'attuale computer ogni giovane individuo ha potuto in seguito usufruire della moderna tecnologia e delle sconosciute agevolazioni da essa derivate fino a quel momento, di sovente impraticabili dagli anziani. L'infiacchimento e il rimbambimento della società non sono manifestazioni nuove, ma da sempre hanno avuto illustrissimi progenitori e il progresso tecnologico è stato, ed è tuttora, un complice forse inevitabile di questo processo sociale.
Personalmente, durante il mio lungo periodo di insegnamento non ancora concluso, ho potuto verificare i modi ed i tempi sempre più ravvicinati del cambio generazionale. La differenza più sostanziale l'ho riscontrata in chi è nato senza computer, quindi con una propensione al pensiero quasi totalmente analogica, chi è nato prima di internet, chi invece ne ha in seguito usufruito e chi è nato completamente in un mondo digitale.



La caratteristica primaria di questa modificazione comportamentale, casi eccezionali e fortunati a parte, l'ho verificata nell'approccio individuale e nella carenza di affettività intesa come attaccamento, affezione e passione per le cose, per le persone e soprattutto per i propri desideri. Molta brama, molta disillusione, molta concretezza e competenza ma pochi sogni e poca visione. Questa anaffettività, termine caro agli psicopatologi, è certamente il tratto più evidente del carattere attuale di molti giovani, ma personalmente devo dire che da qualche tempo, soprattutto nella generazione nata intorno a metà degli anni '90, ho potuto riscontrare una notevole inversione di marcia ed un ritorno a modi decisamente più appassionati, liberi da imposizioni culturali, certamente più autonomi. Operando in un ambito molto speciale sono forse favorito dalla sorte, ma constato che il giovane gruppo di musicisti che da qualche anno mi segue, ha una serie di caratteristiche che sono certo lo renderà vincente, se non nell'immediato di sicuro nella costruzione del più intimo futuro, quello senza il quale fai due passi e poi ti fermi: è propenso a conoscere il passato (in questo caso musicale e interpretativo) e a valorizzarlo secondo le proprie attitudini, sta comprendendo e imparando dagli errori delle generazioni precedenti, dimostra una positiva capacità di adattamento al momento storico senza perdere le speranze, ma soprattutto manifesta un vero amore per la Musica e sa di appartenere ad un riservatissimo mondo popolato da chi ama la bellezza e rifiuta la volgarità. E tutto ciò, per sopravvivere nella giungla, non è poco.

giovedì 13 agosto 2020

Un simpatico ricordo del mio Maestro Mario Gusella (1913-1987)

Il primo violoncello ritratto nelle immagini a colori estrapolate dal celebre video della Messa da Requiem di Verdi diretta da Karajan e nelle tre successive in bianco e nero è Mario Gusella, il mio insegnante di Direzione d'Orchestra al Conservatorio di Milano.



Allievo del grande Gilberto Crepax e Emanuel Feuermann per il violoncello e di Hermann Scherchen per la direzione, per moltissimi anni fu prima parte dell'orchestra della Scala. All'inizio degli anni '70 venne chiamato ad insegnare per chiara fama, quando ciò era ancora possibile grazie al riconoscimento del proprio passato di musicista. Al termine della Seconda Guerra Mondiale non tornò subito a suonare, perché dovendo provvedere ai bisogni famigliari, si ritrovò a suonare il contrabbasso in un bar di via Manzoni dove, fra paghetta e mancia, sembra guadagnasse più che in orchestra.



Il caso volle che Toscanini, al suo celebre ritorno alla Scala, meravigliatosi della presunta perdita di un valente strumentista, fosse un giorno di passaggio proprio in quel bar e, ritrovandolo, lo abbia apostrofato in mal modo:"Ma Gusella! Cosa fai qui? Ma non ti vergogni di suonare il contrabbasso? Mi hanno detto che eri morto!"- "Ma no Maestro, sto bene, ma come può immaginare ho due figlie e moglie e devo provvedere a loro!"



Naturalmente, gli avevano fatto credere che era morto. Alla fine, sembra che fu proprio Toscanini a farlo riassumere, con tanto di paga adeguata. Roba impensabile oggi. Di carattere tutt'altro che facile, come quasi tutte le persone di carattere, Gusella fu sempre inviso a molti per la sua eccessiva, quasi morbosa correttezza, ma soprattutto perché era uno che non mandava a dire le cose. Te le diceva in faccia e stop. Ciò gli costò molto in fatto di "carriera". Ovviamente, in un mondo dove la diplomazia è di rigore e non ci si dovrebbe muovere come un elefante in un negozio di cristallerie, non era proprio il massimo...



Pur essendo da tutti riconosciuto per la sua maniacale precisione e passione infinita, stava sulle scatole per la sua eccessiva sincerità. Era fra i rarissimi direttori che studiava "appassionatamente" tutte le partiture di macelleria contemporanea dell'epoca. Di fronte a quelle che si rivelarono in seguito truffe allo stato puro, non mancò mai di riversare il rigore necessario alla loro migliore realizzazione. Comunista stalinista, di quelli duri e puri, era inviso a molti direttori artistici, sovrintendenti & Co., per il semplice fatto che non sapeva cosa fosse il compromesso e non mancava mai di mettere il naso nel posto sbagliato... In questo senso, come educatore, tutti noi gli dobbiamo qualcosa di davvero importante.



Un giorno, assieme ai miei compagni di classe, ero in attesa della lezione. Ricordo che era un venerdì mattina dell'autunno 1976. Gusella entrò in classe con sotto il braccio cinque o sei partiture di autori contemporanei al tempo molto in voga, sapete, quelle a due piazze... Le scaraventò fra nuvole di polvere sulla scrivania della sala d'Arte Scenica dove facevamo lezione sbottando con la sua penetrante vocina simile a quella dell'imperatore Palpatine, ma con accento romagnolo: "Ma sapete ragassi che mi sono rotto i c......i di dirigere queste menate? È tutta fuffa!"
E come nel film di Fantozzi, dopo la proiezione della Corazzata Potemkin, "scattarono novantadue minuti di applausi!"

sabato 1 agosto 2020

Il coraggio delle scelte

 

Ci sono parole che alle nostre orecchie suonano ormai desuete, quasi dei ricordi legati ai racconti di Cuore, il grande libro di De Amicis che generazioni di giovani hanno letto e riletto, senza tema di apparire nostalgici verso un passato comune, una volta soltanto legato ai buoni sentimenti di italiana appartenenza, e ora inevitabilmente globale.

Uno degli insegnamenti ricavati da certe letture è legato al loro contenuto inviolabile, alto di significati intorno alla nostra esistenza e moralmente inoppugnabili. Coraggio è una parola connessa a situazioni che il nostro mondo rilassato ha messo da parte, preferendogli termini legati ad altre quali l'arditezza, la temerarietà, la spavalderia, la prepotenza o l'aggressività; tutte caratteristiche che rivelano la caducità dell'uomo, incapace di affrontare situazioni critiche in modo decisamente positivo e proiettando la propria immagine oltre il breve confine temporale del successo. La ricerca spasmodica di esso è di sovente il risultato dell'educazione ricevuta in famiglia e a scuola. I genitori sono i primi artefici dell'educazione estetica dei figli, ovvero della creazione di quel particolare mondo fatto di aspirazioni personali e non soltanto di desideri. Difficilmente un figlio sarà poi così diverso da uno o entrambi i genitori, perché certe caratteristiche sono trasmesse attraverso i normali comportamenti quotidiani e non si imparano certamente sui manuali.



In decenni di insegnamento e attività musicale, stando a diretto contatto con centinaia di giovani, prima miei fratelli minori e poi figli e nipoti, ho sperimentato la felicità e la delusione della crescita o dell'esaurimento del potenziale di tantissimi musicisti di talento. Se a volte ciò era imputabile ad una fragilità personale o ad una mollezza dell'individuo, altre volte era il risultato dello sconsiderato intervento dei genitori, ambiziosi oltremodo e smaniosi di un rapido riconoscimento sociale, non tanto per i figli ma per sé stessi. Questo comportamento devastante, risultato di una debolezza umana molto comune fra gli individui, spesso eruditi ma non colti, ha fatto sì che quella caratteristica primaria, ovvero il Coraggio di affrontare situazioni scomode ma indispensabile per la propria evoluzione, venisse a mancare per mancanza di quella linfa vitale necessaria alla propria crescita. Per individui nati nel benessere, sia esso un risultato generazionale o familiare che li priva di una certa preparazione al disagio, alla sofferenza o educazione alla morigeratezza, la mancanza del Coraggio, ovvero di quella forza d'animo connaturata, spesso confortata dall'esempio altrui e che permette di affrontare e dominare situazioni difficili uscendone indenni, è da sempre determinante per la vita futura. Senza esso tutto diventa più difficile, pesante e a volte insopportabile.




Le scelte saranno sempre demandate ad interposte persone, abilissime nel far credere a te stesso e agli altri di possedere grandi qualità, il cui valore è già svilito a causa della mancanza di volontà d'intenzione, cosa ben differente dalla determinatezza nell'affrontare le situazioni. In battaglia si può avere la forza di uccidere il nemico, ma non essere in grado di vincere la guerra. Ci si può rifugiare in un bunker e attendere la notte, ma col sorger del sole tutto prenderà forma e definizione.