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lunedì 18 dicembre 2017

Il presente: si nutre col passato e vive di futuro.

Il pubblico scambia facilmente colui che pesca nel torbido con colui che attinge dal profondo.
(Friedrich Nietzsche)

Siamo portati a pensare che oggi, in piena democrazia comunemente intesa, esista libertà di espressione artistica, ma non è così. O meglio, c'è libertà di fare qualsiasi cosa, di ogni genere e in ogni stile ma esclusivamente in privato e per la propria soddisfazione personale. Nel momento in cui ci si confronta con le persone preposte a gestire la cosa artistica, inevitabilmente si incontrano barriere, divieti, incomprensioni, per il semplice motivo che raramente sono davvero competenti in materia, per cui il loro compito è spesso sussidiario a suggerimenti e pressioni provenienti da vari settori. Siano le pressioni di tipo utilitaristico, politico o personale, in certi rari fortunati casi esse si dimostrano pertinenti. Per questo motivo, nel "mare magnum" della creazione contemporanea, della riproduzione e della diffusione dell'arte (si tratti di musica, pittura o letteratura) il pubblico inconsapevole è indirizzato verso selezionati modelli ideati dal marketing e tesi, esattamente come si potrebbe fare per un'automobile o un profumo, all' esclusiva vendita del prodotto. Se piace, bene, altrimenti c'è sempre un'alternativa. Ovviamente, non c'è nulla di male affinché un artista e la sua opera trovino il giusto spazio d'espressione e riconoscimento grazie anche a oculate proposte commerciali, ma il rapidissimo avvicendarsi di stili, inclinazioni, modelli "aggiornati" non fa altro che alimentare la confusione e, non avendo modo né il tempo per metabolizzare le nuove tendenze, il pubblico è portato a trangugiare tutto ciò che viene proposto, spesso senza alcun senso critico in suo aiuto. Nel caso dell'interpretazione musicale, considerata l'ignoranza generale della popolazione che è certamente superiore a quella in suo possesso nell'arte figurativa e della quale ha ricevuto un'infarinatura a scuola, i modelli si avvicendano molto più rapidamente, portando a una sorta di tacito consenso e trasferendo l'attenzione dalla composizione all'interprete che, se in possesso di certi requisiti "attuali", supera l'opera d'arte ponendosi su un piano di visibilità maggiore, a volte addirittura oscurandola.
Purtroppo, siamo ancora ben lungi dal ricollocare la Musica sopra l'interprete e sottrarla a quella funzione predominante di intrattenimento, riportandola sul piano di quella minima sacralità che ogni tanto sembra aver perduto definitivamente.
La qualità dell'insegnamento musicale ricevuto è fondamentale. Passano i decenni, ma nei conservatori i giovani sono ancora e sempre più istruiti verso la figura della carriera solistica e spinti al conseguimento della celebrità e del riconoscimento sociale o, nel migliore dei casi, verso un'anonimato musicale costruito su un maniacale e imitativo perfezionismo tecnico. La storia dell'interpretazione è totalmente assente ed è cosa normale trovare pianisti che durante la propria formazione non hanno mai ascoltato Cortot, Backhaus o Kempff; violinisti che non conoscono Oistrakh, Ferras o Heifetz e direttori d'orchestra che non hanno mai sentito nominare Walter, Klemperer o Furtwängler. Poi, se saranno fortunati, insegneranno pure loro o sederanno in un'orchestra, trasferendo la loro conoscenza e insipienza ad altri giovani. Il buco nero dell'ignoranza purtroppo cattura tutto e da esso nulla sfugge.


Quando il giardino della memoria inizia a inaridire, si accudiscono le ultime piante e le ultime rose rimaste con un affetto ancora maggiore. Per non farle avvizzire, le bagno e le accarezzo dalla mattina alla sera: ricordo, ricordo, in modo da non dimenticare.
(Orhan Pamuk)

Un pianoforte gran coda vecchio di 60 anni, se ben tenuto col clima giusto, regolarmente accordato, spolverato e revisionato, nonché ben suonato, anche dopo tutto quel tempo avrà facilmente mantenuto lo smalto timbrico, la potenza sonora e l'equilibrio generale. Lo strumento orchestra, decisamente più delicato per la natura umana che lo caratterizza, per poter esser mantenuto in efficienza e per poter essere malleabile alle sollecitazioni dei direttori che si avvicendano, necessiterebbe di una presenza stabile, non saltuaria e volonterosa di mantenere inalterata la personalità della compagine, anche in presenza di quei fisiologici avvicendamenti naturali, inevitabili. Sfortunatamente, da qualche decennio, alla presenza di un direttore veramente stabile, nominato per lungo periodo e capace di coinvolgimento emotivo, cura degli uomini oltremodo che dei musicisti a lui affidati, è preferita una presenza a breve, a volte un po' anonima, meno invasiva e più facile da gestire. Chi deve decidere il destino di un'orchestra ne dovrebbe conoscere bene la storia, la personalità, lo stile e le caratteristiche dei singoli musicisti. Invece, quando queste conoscenze vengono meno, la prassi è quella di procedere verso operazioni di facile "svecchiamento" con operazioni di "maquillage" affidate ad artisti giovani, sicuramente abili ma privi di esperienza umana, spesso alle prime esperienze direttoriali di rilievo e a volte con idee alquanto bizzarre, atte a mettere in ombra le vere caratteristiche dell'orchestra, privilegiando modelli esecutivi "più recenti", a volte adatti agli esecutori e a volte totalmente fuori luogo. In questo modo, molto rapidamente, la memoria storica dell'orchestra scompare, lasciando spazio soltanto ad una continua innovazione tesa alla sua spersonalizzazione. Purtroppo, per mantenere questa importante caratteristica, sono necessari il rispetto e la generale coesione musicale e personale fra i dirigenti e i musicisti. Quando questa viene a mancare, ogni sforzo per mantenere vivo lo spirito, l'affidabilità e la qualità dell'orchestra risulta vano, con le conseguenti tensioni di scollamento che si trasformano in breve tempo in anarchia, incomprensioni, imperscrutabilità dello scopo. 


La celebrità non è che l’espressione di una vasta allucinazione collettiva.
(Charles Aznavour)

Nel campo della Direzione d'orchestra ci sono due categorie di aspiranti musicisti. Quelli desiderosi di apprendere la materia musicale e attingere all'esperienza altrui e quelli smaniosi di iniziare presto una carriera rapida e senza sforzi. Fra i primi, ci sono alcuni che con intelligenza sviluppano subito un certo spirito di emulazione verso chiunque possa essergli motivo di sollecitazione e miglioramento, sia il docente o un compagno di studi con qualità superiori. Altri, invece, anche se in possesso di caratteristiche umane piacevoli, non avendo mai sviluppato quel moto di sincera curiosità verso l'esterno e quindi di salutare confronto ma esercitando soltanto un continuo atto di autocontemplazione, hanno una notevole difficoltà di crescita musicale e sviluppo interiore, nonostante siano in possesso di buone qualità e magari di ottima preparazione.
La seconda categoria, quella desiderosa di affermazione sociale, riconoscimento continuo e immediato successo, è frequentemente destinata a un precoce fallimento personale, non avendo quelle particolari doti di autosostentamento interiore e quella forza davvero speciale che permette di superare indenni tutte le avversità e gli incidenti che in genere caratterizzano i primissimi anni di studio e poi di carriera. Di solito iniziano presto una frenetica attività che li porta ad accettare un po' tutto e mostrano i limiti personali della loro "weltanschauung". Avendo anteposto l'importante sforzo introspettivo a favore di un facile percorso esteriore, in breve tempo si ritrovano catturati nel turbine dell'entertainment e dei suoi spietati meccanismi di avvicendamento, con tutto ciò che ne consegue.
Capita spesso che alcuni giovani mi contattino per conoscermi e poi seguire la mia scuola. In genere, quelli appartenenti alla seconda categoria sopra menzionata, messi di fronte alle loro responsabilità nei confronti della Musica non resistono più di tanto e preferiscono eclissarsi, a volte educatamente e volte in modo repentino, manifestando uno stupido orgoglio e un disagio dichiarato. Ho sempre l'impressione che siano stati catapultati in un'altra dimensione temporale, dove il loro tempo si è improvvisamente dilatato e dove la via di fuga si è improvvisamente allontanata... E' il momento in cui percepisco la differenza di educazione da loro ricevuta, in famiglia e in conservatorio. Comprendo subito se hanno ricevuto quell'educazione estetica necessaria allo sviluppo della propria personalità o se sono invece cresciuti abbandonati alla quotidiana mediocrità di intenzioni, ovvero quella scandita da appuntamenti che contano, occasioni da non mancare, persone da frequentare oppure da evitare.
Ciò che mi lascia più amareggiato è incontrare uomini abbandonati precocemente al loro destino, senza una solida guida e a volte privi di quella semplice e primitiva etica da sviluppare negli anni a venire. Praticamente, piante cresciute senza seme originario.
DGM: Direttori Geneticamente Modificati...


giovedì 26 gennaio 2017

Musicisti digitali crescono


Sono convinto che nessun musicista, agli inizi della gloriosa era della riproduzione fonocinemeccanica, avrebbe potuto prevedere il fatale declino espressivo dell'esecuzione dal vivo, nonostante il suo incredibile sviluppo tecnico. Da più di un secolo, generazioni di musicisti si sono formate e continuano a formarsi grazie alle indicazioni tramandate verbalmente dai propri insegnanti, dalla frequentazione personale di grandi musicisti e dall'ascolto dal vivo. Da qualche decennio, la pratica dell'ascolto casalingo, una volta riservato a chi poteva permetterselo economicamente, si è allargata pressoché a tutta la popolazione di amatori e musicisti. A titolo di cronaca, 5.000 Lire nel 1970 equivarrebbero oggi a circa 45 €. Era il costo di uno dei miei tre primi LP della Deutsche Grammophon Gesellschaft, ricevuti in regalo per Natale e custoditi per molti anni come sacre reliquie.


L'accesso economico ad un ascolto di qualità, con la possibilità di riscoprire amati artisti e al contempo nuovi modelli interpretativi, ha modificato radicalmente la sensibilità del pubblico e dei musicisti. Il primo, condizionato dall'ascolto preventivo di un cantante, di un solista o di un'orchestra, ha iniziato a frequentare le sale da concerto con l'aspettativa di ritrovare il medesimo modello di perfezione musicale ascoltato a casa, dimenticando che di sovente era il frutto di ripetute e affinate sessioni di registrazione tese a produrre una perfezione del prodotto, anche se talvolta decisamente artificiale.
Molti musicisti, anche loro non immuni dal fascino del perfezionamento, grazie alla possibilità di potersi riascoltare quasi in tempo reale, in periodi più recenti, per merito dei nuovissimi prodotti di registrazione portatili, hanno iniziato a perseguire prioritariamente un solo e gelido scopo: la pulizia dell'esecuzione. Prova in sala da concerto al mattino col pomeriggio impegnato a riascoltarsi, chiusi in una stanza d'albergo, per scoprire che la notina era venuta un po' stonata o la tal scaletta un po' sporca. Per non parlare del dramma psicologico notturno: "e domani come sarà?".
Il passaggio dall'era della registrazione sonora analogica a quella digitale, ha poi prodotto disastri di tipo estetico forse un tempo inimmaginabili. Se pensiamo che molte registrazioni di una sinfonia sono state realizzate col posizionamento di cinquanta microfoni, praticamente un'autopsia sonora, e magari l'aggiunta di una riverberazione artificiale a causa della secchezza della sala di registrazione, possiamo immaginare già il risultato artificioso dell'operazione. E così, le ultime generazioni di musicisti, soprattutto quelle più fresche di studi, sono in questo modo vittime di un ascolto viziato in partenza. In parte a causa di quanto sopraddetto e in parte a causa dei mezzi impiegati. La regola è ormai quella di due cuffiette posizionate sull'orecchio e il collegamento a Spotify o Youtube. Se già l'ascolto su un discreto impianto Hi Fi è artificiale, in quanto impossibilitato a ricreare il "sound" di una sala da concerto, figuriamoci il suono di due tappi infilati nelle orecchie. Pressione sonora senza spazio di riverberazione, praticamente una martellata nelle orecchie. E di quest'ascolto, sempre che non  sia fatto per un esclusivo piacere edonistico,  spesso rimane soltanto il gelido anelito verso quella pulizia meccanica che con l'esecuzione musicale ha davvero poco a che fare. L'esecuzione dal vivo sortisce spesso risultati non desiderati o accadimenti non previsti. Il bello dell'esecuzione è che dovrebbe mantenere quel "quid" di sorpresa che non ha a che fare per necessità col funambolismo esecutivo, ma con lo stato d'animo dell'esecutore, uomo fallibile e non macchina perfetta. E questo riguarda tutti: solisti, orchestre e direttoti d'orchestra.



Ovviamente, si tratta molto di come si è stati educati esteticamente. Quest'educazione inizia presto, già dai primi sporadici ascolti, per proseguire col primo fondamentale insegnante e fino alla propria realizzazione in campo musicale. Il patrimonio di interpretazioni oggi a disposizione, soprattutto quello pre-DDD, è immenso e già da solo può costituire un vitale supporto educativo. È però triste constatare che sono pochissimi i docenti che sollecitano un ascolto attivo e metodico, che necessita inevitabilmente di tempo, costanza e soprattutto SILENZIO. Un silenzio prima di tutto interiore, teso alla scoperta di un mondo del quale si è già figli sin da quando si è iniziato il proprio percorso musicale e del quale non si può fare a meno. Invece, oggi è normale uscire da un Conservatorio di Musica avendo suonato sì e no un paio di concerti di Beethoven, senza però aver mai ascoltato una pasticciata ma grande esecuzione di Schnabel, una prorompente e vitale di Rubinstein o una personale e soggettiva di Cortot.
Ah, già... ci sono altri modelli più recenti...