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mercoledì 8 aprile 2020

I Berliner Philharmoniker e gli altri, dopo la pandemia.


Da quando il sito web dei Berliner è stato aperto al pubblico gratuitamente, causa pandemia da coronavirus, ho iniziato a ricevere domande da parte di molti miei allievi che, alle prese col tempo da riempire più del solito, si sono dati da fare per scoprire nuove musiche e nuovi interpreti. Diciamo pure che questi "arresti domiciliari" per molti giovani musicisti in fase formativa sono stati un toccasana, perché si sono ritrovati a seguire i suggerimenti di ascolto e lettura che da sempre do a loro.

Chi studia o ha studiato con me sa quanto ritenga importante la conoscenza di un passato dello stile interpretativo, quello della direzione d'orchestra, molto giovane rispetto ad altri come per esempio quello vocale, violinistico o pianistico. Un periodo tutto sommato breve che in altrettanto breve tempo ha subito trasformazioni del tutto particolari rispetto a tutte le altre arti musicali, per il semplice motivo che lo strumento orchestra, non essendo soltanto "fisico" ma anche "metafisico" necessita di un altro esecutore, il direttore, che abbia entrambe le caratteristiche. Un esecutore speciale che riesca ad "accordare" lo strumento secondo un modo "non temperato" che richiede una serie di abilità tecniche, conoscenze di varia natura e umanità, in definitiva ciò che lo definisce persona e musicista. Questa caratteristica, che a molti potrebbe apparire scontata, è alla base di quel rapporto esclusivo che da sempre ha permesso di plasmare il suono delle orchestre da parte di direttori che avevano il tempo e le motivazioni per farlo, non sempre con a disposizione strumentisti di chissà quale levatura tecnica ma in grado di entrare in empatia, anche se non sempre in simpatia, con chi avevano di fronte. I risultati però li conosciamo e oggi, per fortuna, li abbiamo a disposizione in quel gigantesco serbatoio di registrazioni audio e video disponibile online e su cd.

Un musicista che sin dal suo primo periodo formativo sia stato abituato ad ascoltare, oltre che a guardare, si è certamente affinato le orecchie ed ha avuto la possibilità di crearsi un gusto musicale personale rimasto inevitabilmente prigioniero entro i confini della propria sensibilità, educazione ed estetica, caratteristiche sempre in evoluzione, ma che sono anche nel DNA personale, che include o preclude certe caratteristiche: dalla percezione dei colori, dei suoni, degli odori e dei sapori, fino alla sensibilità tattile. Ognuno di noi ha sensibilità differenti e modalità differenti e grazie alle occasioni con le quali si confronterà nella vita, riuscirà ad affinarle o deteriorarle.


Molti dei miei allievi ed ex allievi, decisamente musicali e consapevoli, oggi mi chiedono il perché della trasformazione così evidente del suono delle orchestre. Provenendo da percorsi di differenti studi strumentali, evidentemente non si riferiscono al componente tecnico del quale sono più che consapevoli, ma a quell'unione particolare fra interpretazione ed esecuzione che va oltre la perfezione tecnica e che stranamente riesce a superare i confini del tempo, arrivando come sorta di illuminazione. Ciò che più affascina, è constatare che quelle che io definisco in modo forse improprio "generazioni digitali" ma che quando se ne parla stranamente le trova tutte d'accordo, siano così permeabili a certi modi "antichi" dai quali restano affascinate. Molti di loro, per questione generazionale o altro, non hanno avuto la possibilità né la fortuna di frequentare con assiduità le grandi orchestre del passato e i loro grandi direttori. Ascoltare l'evoluzione (o involuzione, dipende dai punti di vista) di un'orchestra come quella dei Berliner, dagli anni '70 ad oggi, ha risvegliato in loro, per di più in breve tempo, il desiderio di comprendere a fondo una simile trasformazione.

Per decenni molte orchestre furono la proiezione del pensiero del loro direttore. Il più longevo e perennemente stabile fu Ernest Ansermet, che rimase a capo dell'Orchestra della Suisse Romande per ben 51 anni, dalla sua fondazione nel 1918 sino alla sua morte, nel 1969. Praticamente, sotto di lui vissero e morirono almeno due generazioni di musicisti, guerra mondiale a parte. Quel suono particolare, un misto di grazia e forza, di oggettività e di personale, di determinatezza e di fantasia rimane nelle orecchie di chi, come i musicisti e gli appassionati della mia generazione, ebbe modo di ascoltarlo nelle registrazioni miracolose della Decca, dalle prime analogiche e compatte fino alle ultime della gloriosa era stereofonica pre-digitale. Ovviamente, quell'orchestra mantenne ancora per molto tempo quel particolare modo di suonare, anche dopo la morte di Ansermet, passando sotto magiche bacchette come quelle di Paul Kletzki o di Wolfgang Sawallisch. Erano tempi in cui la figura del direttore era spesso simbiotica con la propria orchestra. Una dipendenza reciproca che, al suo cessare, causava un'inevitabile e repentina trasformazione dell'orchestra. Una trasformazione musicale e umana. Fu così per Berlino dopo l'era Furtwängler e pure dopo l'era Karajan, poi molte cose sono cambiate. Insieme al muro di Berlino sono crollate le ideologie e le consuetudini ad esse legate, sono scomparsi modelli e ne sono subentrati altri, sono scomparsi i miti e al loro posto sono subentrate figure miti.


La domanda che mi sono sentito porre dopo alcuni ascolti sul canale digitale della BPhO, o meglio lo stupore espresso dai miei allievi su come l'orchestra dei Berliner sia potuta cambiare così tanto, riguarda la qualità del suono, la sua definizione, la potente dolcezza di un tempo e la perenne aggressività attuale, sia che suonino Beethoven o Shostakovich. Alcuni si chiedono come un già anziano direttore come Kurt Sanderling avesse potuto ottenere un suono completamente differente da quello di Karajan nell'interpretazione della Quarta Sinfonia di Tchaikovsky e di come, nelle esecuzioni più recenti, l'orchestra si sia invece stabilizzata su una sorta di suono di routine, sia che diriga un direttore di un certo calibro, oppure uno normalissimo. La risposta che do, ma che vale anche per altre orchestre, è che l'eccellenza tecnica degli esecutori ed il loro virtuosismo, decisamente maggiore di un tempo, abbia totalmente adombrato altre caratteristiche primarie e necessarie all'interpretazione, come l'espressività, il fraseggio, un pensiero largo e non incasellato secondo schemi che vanno dalle pratiche filologiche all'oggettività estesa ad ambiti che non la richiedono, o viceversa.

Ma ora, dopo questa emergenza pandemica che sta cambiando il mondo (speriamo in meglio) cosa rimarrà dei musicisti, delle orchestre e del loro modo di suonare dopo mesi o anni di inattività? Orchestre come i Berliner Philharmoniker o come la London Symphony, meccanismi autolubrificanti perfetti come un orologio, abituati a suonare sempre e senza pause, come si ritroveranno? Non credo che 30, 50 o 100 musicisti abituati all'assieme, musicale e umano, possano mantenersi identici e riprendere tutto da capo, come se nulla fosse accaduto. A parte la triste prassi del "distanziamento sociale" non applicabile a certi ambiti, come potrà un musicista sedersi accanto ad un collega che magari non sarà più tale perché sostituito? Molte orchestre, molti cori, molti corpi di ballo, gruppi teatrali dopo questa vicenda forse non esisteranno più e i sopravvissuti non saranno certamente in grado di prodursi come prima. Come sarà una fila di primi violini che non suona assieme da mesi? Avrà la stessa energia, il medesimo desiderio di esprimersi come un tempo, breve ma che apparirà lunghissimo e forse interminabile? E come respirerà il gruppo, oppresso da una dispnea di ritorno, forse peggiore di quella causata dal coronavirus? È certo che molti modelli interpretativi cambieranno, per il semplice motivo che le priorità di chi li manifesta non saranno più quelle di prima. Sarebbe assurdo e dannoso riproporre ancora ciò che sino a poco prima si è consumato, spesso in una malata ripetitività indispensabile al business, ma che ora, volente o nolente, dovrà per forza scomparire. Se molte orchestre finora si erano abituate a direttori girovaghi, che con mezza prova preparavano la Seconda di Mahler ("il resto non lo proviamo perché tanto l'abbiamo già suonata mille volte"- frase riferitami da uno splendido musicista che conosco e chiamato in una importante orchestra) ora si dovranno riconfigurare. Gli spostamenti costeranno il triplo o il quadruplo, i cachet permetteranno di andare in un B&B e non all'Hilton, tutto sarà più caro e il lavoro dovrà incanalarsi necessariamente in modalità meno alienanti. Forse avremo finalmente musicisti che, quelle poche volte che viaggeranno, lo faranno con un libro in valigia anziché con gli ansiolitici.
Naturalmente tutto ciò sarà da verificare e comunque riguarda tutti i musicisti, quelli in formazione e quelli in attività, dal piccolo gruppo strumentale alla grande orchestra. Le strade ora non sono molte, perché alla luce degli avvenimenti globali, nel momento in cui tutti abbiamo potuto verificare cosa significhi essere mediocri, ora dobbiamo seguire l'unico sentiero che ci riporterà all'eccellenza, in tutti gli ambiti. Si tratta di seguirla sempre, con pazienza e intelligenza, ma soprattutto comprenderne a fondo il vero significato, perché da molto tempo è stato travisato, da un lato per eccesso di conoscenza e acculturazione, e dall'altro per eccesso di ignoranza, comodità e superficialità. Sarà tutto più faticoso, sicuramente più esclusivo e speriamo certamente più bello.