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mercoledì 21 novembre 2018

Conservatorio addio, senza rimpianti




Come mia moglie Elisabetta Brusa, anch'io ho rassegnato le dimissioni dal conservatorio, dopo quasi 39 anni di attività. Attenderò pazientemente la pensione che, se sarò ancora vivo e se certi politici improvvisati non avranno mandato a rotoli le casse dello stato, arriverà fra quasi cinque anni.

La nostra decisione di abbandonare l'insegnamento fu presa nel giro di cinque minuti, mentre poco più di un anno fa eravamo in vacanza ad Hammamet. Entrambi, insofferenti di una situazione ormai paradossale, al limite del ridicolo e che urla vendetta, fummo educati in tempi in cui l'insegnamento della Musica non era ancora schiavizzato da una ridicola, assurda e blasfema riforma, ideata esclusivamente per decretare la fine definitiva dei conservatori. Ideata da non si sa chi, forse nella speranza di poter ottenere stipendi universitari, anziché da scuola superiore o giù di lì. Lo sanno tutti e tutti per anni ed anni hanno fatto finta di nulla. Le poche voci alzatesi contro questa riforma, che a detta di alcuni avrebbe dovuto allinearci al resto delle altre nazioni europee, ma che non ha fatto altro che procrastinare l'uscita dagli studi dei giovani musicisti, sono rimaste inascoltate. Il vecchio conservatorio era soltanto da svecchiare, non da svendere al gigantesco mercato degli ammortizzatori sociali. Era una scuola esclusiva, aristocratica nel senso più elevato del termine, riservata a chi aveva talento e a chi, seppur con talento inferiore, amava la Musica in modo esclusivo, appassionato. Poi è arrivata questa funesta riforma, che ha trasformato irreparabilmente istituzioni di alto livello in un ennesimo corso di studi pseudo-universitario, con numerose materie pressoché inutili, ma utilissime al mantenimento del posto di lavoro di docenti con classi semivuote e che altrimenti avrebbero rischiato la chiusura. Tutti lo sanno. Nel giro di 20 anni i conservatori si sono trasformati in centri di accoglienza per eterni studenti che a 30 anni suonati vagano ancora nei corridoi degli istituti, passando da un corso monografico su Mahler, magari non conoscendo nemmeno le sinfonie di Mozart, ad uno monografico di filosofia su Nietzsche, magari senza aver mai letto due righe di Aristotele o Platone. Un coacervo di corsi e corsetti con allievi ormai quarantenni e oltre, spesso brevissimi e deboli, inutili ad una vera formazione dell'individuo-artista. Un titolo vago denominato "Laurea in discipline musicali", dove quello in Tromba Jazz o Flauto Barocco ha il medesimo valore di uno in Composizione o Direzione d'Orchestra. Senza parlare delle numerose scuole aggiuntesi nel tempo, come quelle di Jazz ed ultimamente Pop-Rock eccetera, anch'esse cibo per il famelico ammortizzatore sociale che tiene tutti buoni, studenti e docenti, regalando limbo, poco denaro ed una certa sicurezza.
Insomma, un vero e proprio livellamento verso il basso. Laureati ma appiattiti. Aggiungiamo poi il tranello vergognoso ed avvilente dei corsi per l'abilitazione all'insegnamento, dove giovani padri di famiglia si adattano ad un'umiliazione senza precedenti. Almeno fosse gratuita... Invece no, anch'essi trappolone ideato per rinvigorire la massa di docenti e studenti, altrimenti senza lavoro e senza scopo. Si potrebbe andare avanti all'infinito...
Recentemente ho partecipato all'ultimo collegio dei docenti e mi è stato chiesto di dire qualche parola di commiato. Salutando tutti, ho preferito tacere, perché altrimenti avrei depresso oltremodo i colleghi. Naturalmente, come avvenuto regolarmente dal 1979, anno del mio ingresso del tutto casuale in conservatorio come docente, anche ieri non ho MAI sentito parlare di Musica, ma soltanto di burocrazia, comunicazioni ministeriali, organizzazione dei corsi ed un elenco insopportabile di comunicazioni totalmente avulse dall'arte musicale. Tutta roba che un musicista dovrebbe delegare in toto a esperti in gestioni amministrative e della quale non dovrebbe nemmeno sentir parlare. Un docente dovrebbe entrare in conservatorio e mettersi a far Musica, senza intoppo alcuno, senza le trappole di un sistema che impedisce di fatto la realizzazione delle basilari attività. E ogni istituto ha inevitabilmente le sue pecche. Ma direi che la pecca più grande, quella che ha davvero umiliato i conservatori, è la nomina del Direttore da parte del corpo docente, spessissimo un DO UT DES di basso profilo, risolto in scambi, accordi più o meno personali e che ne impediscono il vero potere gestionale-musicale dell'istituzione. Un consiglio accademico pure esso nominato dai docenti e spesso ingovernabile al suo interno, con faide intestine dove tutti sono contro tutti. Il buon senso avrebbe consigliato di ideare una struttura verticistica, dove un Direttore eletto per chiara fama, rendendo regolarmente conto al Ministero, si sarebbe dovuto impegnare circondandosi di una équipe valida e compatta, ben assortita e coesa, dove ogni componente sarebbe stato responsabile del proprio lavoro e ne avrebbe reso conto, pagando personalmente errori o inefficienze. Invece... Già, ma nell'apparato statale tutto ciò è fantascienza.
Ne racconto solo una: ad un collega fu affidata la preparazione dell'opuscolo e delle locandine per l'attività del conservatorio. Sicuramente in buona fede, con solerzia e seguendo i suo istinto, approntò il tutto. Un giorno, entrando in conservatorio, mi venne un colpo. Avete presente quegli opuscoli che si trovano negli autogrill e che all'interno hanno la coloratissima pubblicità delle carrozzerie, delle pizzerie, dei lavasecco, dei cinema e delle autorimesse? Ecco, l'opuscolo era così. Fui forse l'unico a protestare col direttore per quel lavoro terribilmente inadatto ad un'istituzione come il conservatorio. Il solito deprecato buon senso, avrebbe suggerito al direttore di rispedire il tutto al mittente e chiedere un nuovo opuscolo. Nulla. Il tutto pagato col fondo d'istituto. È soltanto un piccolo esempio, ma potrei continuare all'infinito. Una volta, al rientro dalle ferie, entro e mi ritrovo l'interno del conservatorio dipinto in rosa shocking. Rosa, avete capito bene! Come il sottomarino Sea Tiger nello spassosissimo film "Operazione Sottoveste". Ma chi era a governare un simile scempio? Altra chicca: ristrutturazione di un palco per ospitare coro e orchestra. Ideato senza scivoli per lo scorrimento dei pianoforti, sicché ogni volta è necessario l'intervento di una ditta di trasportatori, con inevitabile costo aggiuntivo per l'istituto. Il risultato è che i pianoforti gran coda sono fissi sul palco e l'orchestra suona sul pavimento.
E così via, e così via... La solita storia, chi controlla? E chi controlla i controllori? Potrei accennare ai direttori psicopatici ammalati di potere che ho incontrato durante il mio peregrinare in vari conservatori. In uno, a capo dell'istituto c'era un sedicente direttore d'orchestra con la fissa di dover per forza dirigere qualcosa a fine anno. In mesi di lavoro con l'orchestra dei giovani studenti costruivo un piccolo gioiello, arrivava lui e distruggeva tutto. In un altro, un valente musicista fuori di testa arrivava al mattino urlando come un pazzo spaventando tutta la segreteria. Nessuno aveva il coraggio di avvicinarlo per tutta la giornata. Nel frattempo lui era uscito dalla porta secondaria per andare a esibirsi in un concerto o forse per impartire lezioni private. Poi ci sono i direttori con la fissa delle riunioni. Per almeno due anni ho partecipato a riunioni per la programmazione di concerti per gli allievi delle classi di composizione. Dopo due anni non si era ancora fatto nulla e gli allievi e gli insegnanti sono ancora lì che aspettano.
In quasi quattro decenni ho avuto colleghi meravigliosi, alcuni di loro persone e musicisti davvero straordinari. Con alcuni ho anche collaborato felicemente nella realizzazione di concerti e ad alcuni devo moltissimo per l'abnegazione con la quale si sono sempre prodigati, dimostrando grande amore verso la Musica e verso i giovani musicisti. Anche loro, purtroppo, sofferenti all'interno di strutture male organizzate, dove è impossibile alcuna seria programmazione. Un'istituzione come il conservatorio dovrebbe essere in grado di programmare tre, quattro o cinque anni in anticipo l'attività e invece è prigioniera di un bilancio annuale, strettissimo e immobile. Dovrebbe essere in grado di gestire autonomamente i fondi senza per forza sottostare a ridicole procedure e gare d'appalto mirate al ribasso. Oppure misteriose: mobili vecchi accatastati da anni e impossibili da eliminare, perché per farlo ci sono normative di tipo sovietico. Vetri rotti o lampade fuori uso in attesa di una gara d'appalto prima di essere sostituite.
Il vecchio e tanto criticato conservatorio aveva soltanto bisogno di rinnovare il repertorio, aggiungere un corso serio di Storia della Musica ed uno di Composizione comune a tutte le scuole, aggiungere corsi obbligatori per tutti di lingue musicali (Francese, Tedesco, Inglese e Latino) ed uno di Filosofia della Musica. Ora, invece, abbiamo i corsi di Metodologia dell'Analisi Comparativa, Psicoacustica funzionale e così via... ci manca Taglio e Cucito, nonché Cucina Afro-Brasiliana e siamo a posto.
Profetico fu lo scritto del 1914 di Giovanni Papini "Chiudiamo le Scuole". Da allora poco è cambiato. Vale la pena di rileggere queste righe: "(La scuola) Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico. Insegna (pretende d'insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori. Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità d'ingegno..."

martedì 20 novembre 2018

Requiem per la Direzione d'Orchestra




In trent’anni ho avuto circa trecento allievi aspiranti direttori d’orchestra. Alcuni di loro, diciamo il 2% di gran talento, hanno raggiunto fama nazionale o internazionale e tuttora calcano i podi delle più importanti stagioni liriche e sinfoniche. Molti altri hanno iniziato l’attività direttoriale e dopo alcuni anni, complici le tante difficoltà che accompagnano quel tipo di vita, l’hanno cessata o affiancata ad altro: insegnamento, composizione, esecuzione strumentale. Moltissimi invece, non sufficientemente responsabili verso questa difficile arte, hanno abbandonato o si sono dedicati ad altre attività in ambito musicale.

Durante i miei primi ventidue anni trascorsi all’Accademia Musicale Pescarese, di solito si presentavano giovani già in fase di solidi studi musicali avanzati, se non già diplomati. Quasi tutti avevano in comune una sfrenata passione per la Musica, ancor prima della Direzione d’Orchestra. Essa era il nutrimento e motore primario della loro dedizione alla conoscenza e allo studio. Fra loro ricordo chi, già dagli inizi, mostrava una bella predisposizione naturale ed una capacità di comunicazione elevata ma soprattutto una già vivida comprensione della Musica, indipendentemente dall’accumulo di conoscenze accessorie.
Anche oggi, seppur differentemente, nell’accademia da me fondata, ho alcuni allievi con già una notevole capacità di discernimento e un’ elevatissima percezione dei valori fondanti l’arte direttoriale. Oltre che dedicarsi a fondo allo studio, si documentano sui fulgidi esempi del passato e sugli attuali, confrontano e ovviamente ne traggono le conclusioni. Con soddisfazione mi accorgo che hanno in comune un senso estetico molto sviluppato, indipendentemente dalla loro provenienza culturale e dall’età.
Recentemente, un paio di loro si è recato ad ascoltare un concerto di un’ottima orchestra, dove un direttore “col pedigree” si cimentava con alcune composizioni del grande repertorio sinfonico. I tristi resoconti di quella serata, peraltro molto prevedibili, non si sono fatti attendere. Orchestra scollata a causa della gestualità poco efficace, se non incomprensibile del direttore, mancanza totale di assieme e soprattutto assenza di idee. Esecuzione piatta, banale, senza afflato, terribilmente fastidiosa per le orecchie allenate di chi sa distinguere e comprendere.
Ovviamente gran successo, inevitabile dopo l’ultimo boato con cassa e piatti. Dico solo che vidi questo direttore “col pedigree” dirigere anni fa, con la medesima orchestra, uno dei più grandi lavori sinfonico-corali dell’ottocento. Per tutta la durata del lavoro, circa 75’, coro e orchestra non furono mai, dico mai, assieme. E costui imperversa a destra e a manca e come Attila lascia macerie dove passa. Ovviamente, la domanda che i giovani si pongono è come a costui venga regolarmente permesso di distruggere la Musica in questo modo. Sappiamo che le risposte sono tante, ma il punto non è questo. Nel mare di un’ignoranza generalizzata intorno alla Musica, tutto diventa facile da propinare, bello e buono, valido e inutile assumono medesimo valore, ovvero un disvalore. Tutto diventa opinabile e poiché il pubblico non è in grado di discernere se un direttore vale o no, si affida a ciò che gli viene proposto. “Beh, se è lì allora significa che è bravo”. Invece, la massa di incompetenti e mediocri che calca i podi di mezzo mondo (inclusi quelli dove una volta ci salivano soltanto i semidei) aumenta in modo esponenziale. Dopo tutto, chi fra il pubblico è in grado di distinguere se un direttore esegue un fraseggio giusto o sbagliato? Per carità, i cani c’erano anche cinquant’anni fa, ma la quantità di mediocri ora in circolazione è davvero inverosimile. Se la podiomielite un tempo era un virus in incubazione, oggi è diventata una pandemia. Mi si dirà che anche una volta il pubblico non era in grado di distinguere le competenze di un direttore. Certo, ma la differenza sta nel fatto che prima della democratizzazione del tutto, ad argine della mediocrità e a garanzia dei valori si erigevano le grandi tradizioni delle nazioni, le loro tradizioni esecutive e la competenza di pochi davvero competenti a capo della cosa musicale. Oggi, dalla mediocrità si salva ancora un po’ l’esecuzione strumentale, per il semplice fatto che una nota stonata di un cantante o di un violinista la sente anche un sordo, mentre come si sa, la bacchetta non fa stecche. Rimane però costante un certo funambolismo insopportabile che spesso rende mediocri anche gli artisti che non lo meriterebbero.

Forse è venuta l’ora che quei pochi, rari musicisti che si dedicano da un po’ di tempo alla critica musicale, abbandonino il fioretto brandendo la scimitarra, infischiandosene del maledettissimo politically correct e dicendo le cose come stanno. Ne va della salute della Musica e, nel caso della Direzione d’Orchestra, di quel poco di sacrale che è rimasto, a difesa della banalità e dell’improvvisazione che la sta irrimediabilmente distruggendo.