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lunedì 7 luglio 2025

Islam, cultura europea e il rischio per le future generazioni

L’Europa, culla di un umanesimo che ha alimentato per secoli arte, scienza e filosofia, si trova oggi di fronte a una sfida profonda e complessa: la convivenza con culture e religioni che presentano visioni del mondo molto diverse, tra cui l’Islam. Non si tratta di una questione puramente religiosa, bensì culturale e identitaria, che interroga le fondamenta stesse della civiltà europea. Il pensiero europeo, a partire dal Rinascimento, si è caratterizzato per la centralità dell’individuo, la libertà di espressione, il dubbio come strumento di conoscenza e la separazione tra potere religioso e politico. Questo spirito ha permesso la fioritura delle arti, delle lettere e delle scienze. Invece, in molte interpretazioni dell’Islam — soprattutto quelle più rigoriste — la vita individuale è fortemente regolata dal Corano e dalla Sunna, lasciando poco spazio al libero arbitrio e alla creatività artistica intesa come autonoma ricerca del senso.

La tensione tra queste due visioni emerge, ad esempio, nella rappresentazione artistica. La tradizione islamica, per motivi dottrinali, tende a vietare la raffigurazione figurativa, mentre l’arte europea ha celebrato per secoli il corpo umano, la natura e la libertà dell’immaginazione. Allo stesso modo, la letteratura europea si fonda su un incessante interrogarsi, sulla messa in discussione di dogmi, mentre nelle scuole coraniche più rigorose la conoscenza si riduce spesso a un’adesione totale e incondizionata al testo sacro.

Questa rigidità rischia di costituire un pericolo soprattutto per le future generazioni, nel caso in cui venissero educate esclusivamente secondo principi religiosi che scoraggiano il pensiero critico. Se la formazione dei giovani si limitasse «ai detti del profeta» e a ciò che prescrive il Corano, potremmo assistere a un progressivo disinteresse verso le conquiste dell’arte, della filosofia e della scienza. Il risultato sarebbe una società più chiusa, priva di curiosità e di spirito creativo, fondata su superstizione e ignoranza.

L’ignoranza, infatti, è il veleno più subdolo: anestetizza lo spirito, indebolisce il senso civico, rende le menti facili da controllare. Quando una società smette di porsi domande, di esplorare il mistero e di guardare oltre la superficie delle cose, diventa vulnerabile alle derive autoritarie e fanatiche. In un mondo dove la tecnologia avanza in modo vertiginoso e dove il pensiero scientifico dovrebbe guidarci verso nuove conquiste, il rischio di ritirarsi in posizioni dogmatiche è particolarmente pericoloso.

A ciò si aggiunge la colpevole cecità del mondo contemporaneo, troppo abituato ai propri agi per accorgersi dei cambiamenti profondi che lo stanno attraversando. Il benessere materiale, seppure importante, può diventare un anestetico che spegne il senso critico e la capacità di resistenza culturale. L’Europa, che un tempo era pronta a difendere la libertà di pensiero a costo della vita, oggi appare spesso sorda e indifferente di fronte alla graduale erosione dei propri valori fondanti. Il futuro che ci attende, in questo scenario, è incerto e pericoloso. Senza una difesa decisa dei principi di libertà, razionalità e laicità, rischiamo di consegnare ai nostri figli un continente impoverito culturalmente e spiritualmente, dominato dall’ignoranza e dalla superstizione, incapace di produrre arte, incapace di pensare, incapace di sognare.

La sfida, dunque, non è soltanto proteggere la cultura europea dall’esterno, ma risvegliare in noi stessi la volontà di difenderla, di coltivarla, di trasmetterla. Significa tornare a educare le nuove generazioni non alla cieca obbedienza, ma al dubbio, alla bellezza, alla ricerca della verità. Solo così potremo garantire un futuro in cui la cultura, la libertà e l’arte non siano solo retaggi di un passato glorioso, ma linfa viva di una civiltà che non rinuncia a essere se stessa.

Karl Popper, filosofo austriaco, considerato uno dei più influenti del suo tempo

Il filosofo Karl Popper, nel suo "La società aperta e i suoi nemici", avvertiva che la tolleranza illimitata può portare alla scomparsa della tolleranza stessa: se una società aperta permette a dottrine intolleranti di prosperare senza critica, finisce per autodistruggersi. Questo principio, noto come "il paradosso della tolleranza", dovrebbe guidare le politiche migratorie e di integrazione europee. Il futuro che ci attende, in questo contesto, è incerto e potenzialmente pericoloso. La sfida più grande è risvegliare la coscienza critica collettiva e riaffermare con coraggio i valori che ci hanno resi liberi: la ricerca della verità, la bellezza, il rispetto della persona come fine e non come mezzo. Solo così l’Europa potrà continuare a essere un faro di civiltà, capace di guardare al futuro senza rinunciare alla propria anima.



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