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giovedì 17 luglio 2025

Milano non è da tempo la mia città

Milano viene spesso celebrata come simbolo di modernità, innovazione e progresso urbano. È il “motore d’Italia”, la “capitale morale”, la città delle opportunità. Eppure, per chi la abita quotidianamente, soprattutto per chi appartiene alla classe media o popolare, questa narrazione è sempre più difficile da riconoscere nella realtà. Negli ultimi due decenni, Milano ha subito una trasformazione urbana radicale. Quartieri un tempo popolari sono stati “riqualificati” in nome della modernità, trasformandosi in zone d’élite dove il costo della vita è insostenibile per la maggioranza dei cittadini. Il prezzo degli immobili è salito alle stelle, spinto da investimenti speculativi e da una politica urbanistica che ha privilegiato i grandi operatori immobiliari a scapito dell’interesse pubblico. La città è diventata terreno fertile per fondi di investimento, architetti-star e developer internazionali, mentre il tessuto sociale tradizionale si è sfilacciato. Milano si è così trasformata in una città vetrina, dove interi quartieri del centro sono occupati da boutiques di lusso, ristoranti fotocopia e grattacieli scintillanti di banche e multinazionali. Un palcoscenico urbano pensato più per attrarre capitali e turisti che per rispondere ai bisogni concreti dei suoi abitanti. Di sera, questi luoghi diventano deserti urbani: il “deserto dei Tartari” di una modernità senz’anima. La tanto declamata “rigenerazione urbana” si è spesso tradotta in un appiattimento paesaggistico. Spianate di cemento, piazze senz’ombra, arredo urbano che punta sull’effetto wow ma dimentica il benessere reale. Dove c’erano alberi e vita di quartiere, oggi si trovano superfici bruciate dal sole, spazi privi di accoglienza, ostili alla socialità spontanea. Il verde, quando c’è, è decorativo, non vissuto. E la sostenibilità si limita troppo spesso a slogan e interventi simbolici: piste ciclabili disegnate a caso, tavoli da ping pong sull’asfalto, panchine arcobaleno, ma nessuna vera politica di redistribuzione dello spazio urbano.

Milano è amministrata da anni da una coalizione che si definisce di centrosinistra. Ma cosa resta di “sinistra” quando le priorità amministrative coincidono con quelle del grande capitale? Il paradosso è che, mentre si dipingono strisce colorate e si celebrano eventi simbolici, si continua a governare con la logica del mercato, favorendo le stesse dinamiche di esclusione e rendita urbana che hanno storicamente contraddistinto le amministrazioni più conservatrici. La verità è che la differenza tra destra e sinistra, almeno sul piano urbano, si è assottigliata fino quasi a scomparire. Il neoliberismo ha permeato ogni forma di governo locale, svuotando la politica di ogni capacità redistributiva. L’amministrazione “progressista” milanese sembra più interessata a mantenere la propria immagine internazionale e attrattiva per gli investitori, che a costruire una città giusta, accessibile, equa. Una città non è solo un insieme di infrastrutture, servizi, eventi. È fatta di relazioni, memoria, spazi comuni, possibilità di vivere dignitosamente. Quando la città diventa ostile a chi non può permettersi di consumarla, quando il centro si svuota di residenti e la periferia si riempie di disagio, quando la bellezza è riservata a chi può pagarla, allora non siamo più davanti a una città vivibile, ma a una messa in scena.

Milano è diventata una città senza anima: brillante, ma vuota; efficiente, ma diseguale; moderna, ma profondamente ingiusta. E se un’amministrazione, per quanto onesta, non ha la sensibilità di vedere questa trasformazione e contrastarla, allora ha già perso il contatto con la sua missione più autentica: governare per il bene comune, non per l’interesse di pochi.

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