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domenica 20 luglio 2025

Perché il titolo di studio nelle arti andrebbe abolito

 

Parlo da musicista, ma ciò che dico vale per chiunque viva nel mondo dell’arte: pittori, attori, scrittori, registi, esecutori. Dopo anni trascorsi tra studi formali, ambienti accademici e realtà artistiche indipendenti, ho maturato una convinzione tanto netta quanto impopolare: il titolo di studio nelle discipline artistiche è inutile. Anzi, dannoso. E dovrebbe essere abolito.


Un titolo che non dimostra nulla

Sin da quando mi iscrissi al conservatorio, sapevo che una laurea, allora diploma, non mi avrebbe aperto le porte del mondo professionale. Nella migliore delle ipotesi sapevo che sarebbe stato utile per compilare moduli e partecipare a concorsi pubblici. Nessuno mi ha mai chiesto un diploma agli inizi della mia vita musicale, eccezion fatta per insegnare in conservatorio, dove capitai per caso a seguito di un invito del mio maestro di Composizione, Bruno Bettinelli. Il mio valore, come quello di tanti colleghi, si è costruito altrove: nelle infinite ore di studio vero, nei fallimenti, nei primi concerti in sale semivuote, nelle collaborazioni, nelle emozioni condivise con il pubblico. Tutto questo non figura su un pezzo di carta.

La musica non è un mestiere certificabile

La musica, come le arti in generale, non è un mestiere codificabile. Non puoi quantificare la sensibilità, la creatività, l’autenticità. Eppure, oggi ci si ostina a voler “laureare” anche la spontaneità. Si pretende che il talento passi attraverso la burocrazia. Si trasformano strumenti e corpi in fascicoli, passioni in CFU, ispirazioni in esami a tempo. È una contraddizione evidente: le accademie rilasciano titoli, ma il mondo reale cerca artisti. E gli artisti veri, spesso, quei titoli non li hanno. Non perché siano “ignoranti” o “impreparati”, ma perché hanno scelto un’altra via, fatta di pratica, di ascolto, di contatto diretto con l’arte viva, non mediata dalla forma scolastica. Questa distorsione non riguarda solo la musica. Un pittore non ha bisogno di un diploma per creare opere potenti. Uno scrittore non deve aver frequentato un corso di laurea in lettere per scrivere un romanzo che emoziona e resta. Un attore non è più credibile perché ha una pergamena, ma perché sa stare in scena. Eppure, anche in questi ambiti, si insiste nel voler certificare l’arte, incasellarla, “validarla” attraverso percorsi universitari che spesso disincentivano la libertà anziché nutrirla.

L’unica utilità: i concorsi pubblici

L’unico contesto dove il titolo artistico conta è la pubblica amministrazione. Vuoi insegnare musica nelle scuole? Ti serve la laurea, anche se hai inciso dieci album. Vuoi partecipare a un bando regionale per un progetto culturale? Devi allegare il tuo diploma, anche se la tua carriera parla da sola. Il paradosso è che la scuola e lo Stato, che dovrebbero valorizzare il merito artistico, lo filtrano attraverso una griglia burocratica incapace di riconoscerlo davvero. E qui arriva l’aspetto più frustrante: anche con un titolo, il merito resta subordinato a titoli secondari, punti extra, corsi obbligati. Non conta quanto sai fare, ma quanto sei “in regola”. Così vince non il migliore, ma il più conforme.

Perché abolire il titolo di studio nelle arti

Arrivati a questo punto, io credo che il titolo di studio nelle arti dovrebbe essere essere abolito, o quantomeno privato del suo valore legale. Non serve a certificare la qualità e non aiuta i veri talenti. Non facilita l’accesso al lavoro, ma serve solo a creare una classe di artisti formalizzati, ma spesso svuotati di spontaneità. Serve a giustificare un sistema che premia l’aderenza alle regole, non l’originalità. La formazione artistica deve esistere, certo, ma deve essere libera, pluralista, non vincolata al titolo. Studiare in un conservatorio, in un’accademia o in una scuola di teatro deve essere una scelta per crescere, non una tappa obbligata per “ottenere il foglio”.

Conclusione: arte e burocrazia non possono convivere

L’arte non è un settore come gli altri. È un linguaggio, un’urgenza, una forma di conoscenza diversa. Tentare di inquadrarla dentro le logiche accademiche è una forzatura che svilisce sia l’arte che l’istruzione. Continuare a farlo, a mio avviso, è un danno culturale e sociale. Non chiedo più riforme o riconoscimenti. Chiedo qualcosa di più radicale: che si riconosca l’inutilità del titolo di studio in ambito artistico. Che lo si abolisca, o lo si svuoti del suo potere coercitivo. Solo così potremo restituire all’arte la sua funzione autentica: quella di parlare al mondo senza dover passare da un ufficio protocollo.

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