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martedì 15 luglio 2025

Il silenzio che ci avvolge

Abbiamo cresciuto giovani musicisti convinti che la musica fosse un atto di verità. Un varco attraverso cui diventare più umani, un’occasione per imparare a guardare oltre sé stessi, a toccare la fragilità propria e altrui. Li abbiamo accolti con gli occhi accesi, colmi di fame e di stupore, certi che avrebbero difeso la parte più luminosa e viva di loro stessi. In molti abbiamo creduto senza riserve. Abbiamo dato tempo, energie, pazienza. A qualcuno abbiamo consegnato parti profonde di noi, convinti di trovarci davanti anime capaci di restituire al mondo bellezza e compassione. Credevamo che la musica li avrebbe spinti a essere creature vigili, attente, capaci di ascoltare non solo i suoni, ma i silenzi che abitano ogni essere umano. Sfortunatamente, col tempo abbiamo assistito a un lento tradimento. Quel fuoco iniziale si è consumato sotto il peso di un bisogno famelico di approvazione e l’urgenza di dire qualcosa di autentico ha ceduto il passo alla smania di essere visti, di raccogliere applausi, di costruire un’immagine inattaccabile. La musica è diventata un trofeo, un’etichetta da ostentare, un modo per mettere sé stessi al centro, sempre e comunque.

Come molti, ho dato molto a chi pensavo avesse un cuore vivo. Ho difeso sensibilità che credevo vere, ho investito fiducia, ho creduto nella promessa di un'anima nobile, ma ho trovato cuori di vetro: brillanti fuori, ma fragili e chiusi, incapaci di vedere davvero chi avevano accanto. Oggi vedo vite musicali impeccabili, successi confezionati con precisione maniacale, carriere che scorrono come macchine ben oliate. Ma dietro quei sorrisi studiati si nasconde un vuoto che pesa più di qualsiasi sconfitta. Un silenzio freddo, un’assenza che avvolge ogni nota. Non c’è più ascolto, non c’è più dono, non c’è più anima. Solo la fame di perfezione, di essere riconosciuti e contati come merce rara. A volte, di potere.

Ed è qui che si svela l’inganno più grande: chi vive per apparire si condanna a non vedere più niente. Né la bellezza che passa accanto, né la mano tesa dell’altro, né le proprie crepe più profonde. La musica si può insegnare e la tecnica si può perfezionare fino a diventare un’ossessione. Ma la capacità di restare veri, quella di non rinunciare alla propria umanità per un applauso in più, non si può imporre. È una scelta quotidiana, scomoda, spesso dolorosa, che pochi trovano il coraggio di fare.

E allora mi chiedo, con un’amara lucidità: a cosa serve conquistare ogni palco, se alla fine non resta più nessuno da abbracciare? Se non resta un volto da guardare, un cuore da sfiorare, un’anima a cui confidare il silenzio tra due note? Forse, in quel vuoto, si nasconde la domanda più importante. E forse, in quel silenzio, si sente la musica più crudele: quella che ci racconta chi siamo davvero, quando smettiamo di essere umani.

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