Cerca nel blog

giovedì 16 giugno 2022

La bellezza ci insegna

Chiunque viva quella particolarissima e quotidiana situazione di condivisione della bellezza, nelle sue più svariate forme e nei momenti di massima suggestione, spesso si ritrova coinvolto in stati di ammirazione e stupore indescrivibili. Si tratta di stati emozionali personali e totalizzanti, per i quali e nei quali ognuno trova una speciale risposta. L'oggettività della bellezza è l'unica sulla quale siamo tutti d'accordo, per il fatto che essa scaturisce dai valori e dal tempo della nostra cultura e solitamente ci dona un senso di appagamento e benessere. A volte è compartecipe degli stati più drammatici della nostra vita ed è proprio grazie al contrasto con quei momenti che troviamo in essa la sua massima capacità di persuasione.

In musica, la più fragile delle arti che necessita di un interprete per essere recepita e compresa, i momenti di estasi e angoscia sono complementari. Per alcuni autori come Beethoven e Schubert, solo per fare due esempi, la scelta delle tonalità e quindi del colore strumentale, è fondamentale per ottenere il massimo risultato espressivo. Sono momenti specialissimi dove l'interprete si trova di fronte alla ben nota "domanda senza risposta", o meglio ad una risposta che non prevede domanda in quanto già completa. Esempi beethoveniani sono le tonalità di Re bemolle e La bemolle maggiore, punte di massima intensità dove una luce accecante erompe come un senso di verità assoluta. Esempio lampante il terzo movimento della Nona Sinfonia. In Schubert invece, è l'ombra che fa da padrona. La luce è sempre presente, ma è come se desiderasse rimanere nascosta, come il sole dietro le frasche di un bosco. Il secondo movimento della Sinfonia "Incompiuta" è ricco di questi magici istanti. Ecco, questi sono i momenti musicali che personalmente vivo sempre in modo positivo, anche se contrastante. Beethoven mi dà la certezza e Schubert mi incute il dubbio. Entrambi mi fanno domande ed entrambi mi danno risposte. 

Ho trascorso la vita ad insegnare e tuttora l'insegnamento è la mia più grande passione e fonte di sostegno affettivo. Molti anni fa, lessi uno scritto di Monsignor Gianfranco Ravasi che ricordava le parole del celebre pensatore francese Roland Barthes: "Vi è un'età in cui si insegna ciò che si sa, ma poi ne viene un'altra in cui si insegna ciò che non si sa e questo si chiama cercare". Egli concludeva che "non si insegna mai ciò che si sa ma ciò che si è". Ecco, quando si tratta di trasmettere il significato delle cose, oltre che la loro oggettività, questa condotta da parte del docente è fondamentale. Soprattutto oggi, di fronte a una gioventù rapidissima nel consumare i sentimenti e le emozioni ma restia a condividerle, certe volte è un'impresa ardua riuscire a condividere le proprie sensazioni personalissime e sincere.

Dieci anni fa ho fondato l'Italian Conducting Academy di Milano e da allora molti giovani si sono avvicendati. Da qualche anno però, vedo con piacere che c'è un desiderio di ricerca personale precoce e ritengo che ciò sia molto dovuto ad uno stato di insoddisfazione verso un insegnamento musicale sempre più perfezionistico, direi proprio "digitale" dove l'elemento umano di empatia e simpatia è andato molto scemando, ma che è fortemente richiesto dall'ultima generazione di giovani artisti. Nel caso della Direzione d'Orchestra ciò si fa molto più sentire, in quanto lo strumento del direttore non è la tastiera del pianoforte, bensì l'insieme delle anime condivise che gli sono di fronte. Come far sì che un giovane possa acquisire competenze extra-musicali oltre che meramente tecniche? Ovviamente, qui entra in gioco la capacità di condivisione emozionale del maestro, che ha il faticosissimo e particolarissimo compito di salvaguardare l'unicità dell'allievo per renderlo consapevole che è un universo in miniatura non replicabile, rammentando sempre che tutti noi conserviamo l'indivisibilità di esso: il corpo e lo spirito. La fisicità della musica e la sua natura metafisica sono trascurate come elementi di unicità; insegnare soltanto la parte fisica è ovviamente molto più semplice, in quanto è tutto già stato sperimentato, decifrato, razionalizzato ed elaborato nei decenni, se non nei secoli. La natura metafisica della musica è invece qualcosa sempre in mutamento, perché muta col pensiero dell'uomo. Il problema è che l'uomo necessita di un pensiero e all'interno di esso c'è la parte razionale, logica, e quella irrazionale, ovvero più istintiva. Senza di essa è impossibile crearsi un percorso di intuizione che ci permetta di sviluppare un pensiero lontano dagli schemi tecnici così facili da acquisire e sempre a buon mercato. Il mio compito è anche, soprattutto, questo. Sviluppare l'individuo artista e non soltanto un semplice esecutore. Come aveva scritto Don Milani su un cartello della sua scuola di Barbiana, "I CARE".