Negli ultimi anni, le stagioni concertistiche e, più in generale, la programmazione artistica di molte istituzioni culturali sembrano sempre più orientate a privilegiare la cosiddetta "diversità di genere" come criterio principale per la selezione degli interpreti. Il principio, in sé nobile e animato da buone intenzioni, ovvero correggere storiche disparità e dare spazio a voci finora marginalizzate, rischia però di degenerare in un nuovo dogma: quello del "politically correct" a tutti i costi.
La musica, come ogni arte, vive e si alimenta di qualità, di eccellenza, di talento autentico. La scelta degli interpreti dovrebbe basarsi esclusivamente su questi parametri: la capacità di saper leggere in profondità una partitura, di restituire al pubblico un'interpretazione personale ma rigorosa, di trasmettere emozioni sincere. Quando invece si antepone la "quota rosa" o la "quota diversity" al merito, si tradisce l’essenza stessa dell’arte. La musica diventa così uno strumento di propaganda ideologica e perde la sua funzione primaria: quella di parlare direttamente al cuore e all'intelletto, senza mediazioni.
Il paradosso è che questa forzatura, lungi dal promuovere un’autentica uguaglianza, rischia di svilire proprio coloro che si vorrebbero valorizzare. Una direttrice d'orchestra o una compositrice di talento non ha bisogno di "quote" per essere riconosciuta: ha bisogno che il suo lavoro venga giudicato con lo stesso rigore e lo stesso entusiasmo riservato a qualunque collega uomo. Imporle un posto in cartellone solo per motivi di rappresentanza equivale a sminuire il suo percorso e a insinuare un dubbio sulla legittimità del suo successo.
In definitiva, l'arte dovrebbe essere uno dei pochi ambiti dove l'individualità, la libertà di espressione e la qualità contano più di qualsiasi etichetta o appartenenza. Se davvero si vuole una società più giusta e inclusiva, bisogna partire dall’educazione e dal sostegno reale alla crescita dei talenti, non dalla creazione artificiosa di vetrine. La musica non ha bisogno di essere "politically correct": ha bisogno di essere vera, profonda e libera.
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