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venerdì 27 giugno 2025

L’arte di educare

L’arte di educare nell’ambito musicale non consiste soltanto nel trasmettere competenze tecniche, stilistiche o storiche, ma nel generare autonomia. Questo è, forse, il compito più arduo per un educatore autentico: condurre l’allievo verso una libertà interiore ed espressiva che non sia mai mera imitazione, né prigionia del gusto altrui. Raggiungere questo traguardo significa anche avere il coraggio, a un certo punto, di sparire, lasciando che il discepolo cammini con le proprie gambe, magari sbagliando, ma costruendo un’identità autentica.

Tuttavia, tale processo non è mai neutro. Tra docente e discente si instaurano inevitabilmente dinamiche affettive, emotive, a volte persino inconsce, che possono diventare al contempo nutrimento e ostacolo. Il maestro deve vigilare perché l’ammirazione non si trasformi in sudditanza, e l’influenza in imitazione. Educare, etimologicamente, significa “trarre fuori”, non “plasmare a propria immagine”. In questo senso, l’arte dell’insegnamento è anche un’arte del distacco: saper lasciare andare l’altro, dopo avergli indicato la strada.

Eppure, la relazione non finisce con la lezione. Se vissuto con onestà e profondità, il legame educativo può trasformarsi in qualcosa che va oltre il rapporto professionale: un’amicizia umana e artistica, che resiste al tempo, alle distanze, ai cambiamenti. Questo tipo di rapporto è raro, prezioso, e si fonda non su un’appartenenza gerarchica, ma su una condivisione di valori, di visione artistica e spirituale.


In musica, tutto questo è ancora più intenso. La musica stessa è un luogo di risonanza interiore, dove ciò che è autentico vibra e ciò che è costruito cade. Per questo motivo, il feeling che si crea tra maestro e allievo spesso prescinde dall’età, dalla posizione, perfino dall’esperienza. Esiste una dimensione intangibile, quasi misteriosa, in cui due anime si riconoscono: è lì che nasce l’atto educativo più profondo. Il maestro, in fondo, è colui che risveglia ciò che nell’allievo è già presente, ma dormiente. Come uno scultore che, più che modellare, libera la forma intrappolata nella pietra.

Educare, allora, significa rendere l’altro libero, eppure mai solo. Lasciarlo andare, ma restare presente nella memoria profonda dei suoi gesti, delle sue scelte, delle sue note. È un atto d’amore disinteressato, che fiorisce davvero solo quando il maestro accetta di diventare superfluo.


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