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lunedì 23 giugno 2025

Dove si impara

Quando un’aula di conservatorio si presenta asettica, priva di tracce della sua storia e della storia della musica che dovrebbe custodire e trasmettere, qualcosa si spezza nel patto implicito tra generazioni.

Un’aula dove si insegna musica non è un contenitore neutro. È, o dovrebbe essere, un luogo sacro, in cui la presenza dei grandi del passato – non solo evocata nei suoni, ma anche visibile, tangibile – possa ispirare rispetto, soggezione, gratitudine. Un’aula senza un ritratto, senza un manoscritto ingiallito, senza uno strumento antico, è come una chiesa senza icone, un teatro senza sipario, un tempio senza altare. La musica, senza memoria, rischia di diventare puro esercizio, priva di spirito.
L’aria condizionata, le sedie ergonomiche, le luci a LED sono conquiste del comfort. Ma se si perde il senso di appartenenza a una tradizione, se si cancella la polvere nobile del tempo in nome della neutralità funzionale, il conservatorio diventa un ufficio qualsiasi, un luogo dove si compila il modulo della tecnica, ma dove si smarrisce l’essenza del rito artistico.

E allora viene da chiedersi: che musicisti stiamo formando? Non tanto in termini di abilità, quanto di coscienza. Perché l’arte ha bisogno di radici. Senza radici, resta solo l’eco di qualcosa che non si sa più nominare.






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