Il principio di indeterminazione di Heisenberg, che afferma come non sia possibile conoscere simultaneamente con precisione assoluta la posizione e la velocità di una particella, può offrire una suggestiva metafora se lo applichiamo all’osservazione delle persone. Ogni volta che osserviamo profondamente un essere umano cercando di capirlo, analizzarlo, e definirlo, inevitabilmente lo influenziamo. Come nel principio di indeterminazione, l'atto stesso di osservare modifica ciò che si osserva. Più cerchiamo di cogliere "dove" una persona si trova interiormente (le sue emozioni, le sue convinzioni), meno possiamo sapere "dove va" (il suo divenire, la sua libertà di cambiamento). E viceversa: più ci concentriamo su ciò che diventerà, sulle sue potenzialità, meno possiamo afferrare ciò che è ora. Per questo motivo, il desiderio di "cambiare" qualcuno porta sempre con sé un’ambiguità: non cambiamo mai una persona neutra, ma una che abbiamo già alterato semplicemente cercando di comprenderla. La vera trasformazione, allora, non nasce dall’osservazione analitica, ma dalla relazione viva, in cui l'osservatore e l'osservato si trasformano insieme.
Sul limite dell’osservare, sorge spontanea una riflessione sull’indeterminazione dell’essere umano.
Il principio di Heisenberg sancisce che non possiamo conoscere simultaneamente con precisione assoluta la posizione e la quantità di moto di una particella. L’atto stesso dell’osservazione ne altera lo stato. Ma cosa accade quando rivolgiamo questo principio non alla materia, bensì all’uomo? L’essere umano, nella sua interiorità, non è meno sfuggente di una particella subatomica. Chi si illude di poterlo comprendere del tutto, come se fosse una macchina trasparente riducibile a schemi, comportamenti o diagnosi, commette un errore di categoria. Ogni tentativo di osservarlo nel profondo ne perturba la natura. L’interiorità, infatti, non è un oggetto da sezionare, ma un campo di possibilità, un processo in atto. La nostra attenzione, il nostro giudizio e persino il nostro amore agiscono su chi osserviamo, lo modellano e lo spostano. Questo ci pone davanti a un paradosso: non possiamo conoscere una persona e al contempo non alterarla. Più tentiamo di coglierla in un istante, fermarla, definirla, dire “ecco, è così”, più perdiamo la sua direzione, il suo divenire. Come per la particella di Heisenberg, fissare il “dove” cancella il “dove va” e se ci fissiamo sul divenire, perdiamo l’attimo del suo essere.
Werner Karl Heisenberg nel 1927, anno in cui pubblicò il suo articolo sul principio di indeterminazione
Questo principio ci ammonisce anche sul tema del cambiamento: possiamo davvero “cambiare” qualcuno? O stiamo semplicemente agendo su un riflesso di ciò che ci appare, dimenticando che ciò che vediamo è già, in parte, opera nostra? Ogni tentativo di mutare l’altro presuppone un’immagine che ne abbiamo, e questa immagine è già una manipolazione.
Il rispetto della libertà altrui, dunque, non consiste nel non intervenire, ma nel riconoscere il nostro limite: non possiamo conoscere né cambiare senza essere anche noi coinvolti nel processo. Ogni relazione autentica è una co-creazione, dove osservatore e osservato si trasformano insieme, in un gioco perpetuo di riflessi, risonanze e infinite possibilità. In definitiva, il principio di indeterminazione, trasposto alla sfera dell’umano, ci insegna l’umiltà. Non possiamo afferrare l’altro come un oggetto. Possiamo solo danzare con la sua indeterminazione, lasciandoci cambiare mentre cerchiamo di comprendere.