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mercoledì 8 agosto 2018

Uomo digitale


Il mondo digitale ha inevitabilmente compromesso una fondamentale caratteristica e attitudine umana, quella del contatto fisico con le cose e coi propri simili. La sua progressiva eliminazione, legata alle normali ed elitarie attività dell'uomo (denaro contante, comunicazioni personali ed epistolari, letteratura, musica) ha sotratto quella parte essenziale e preliminare all'armonico sviluppo relazionale con gli oggetti, la loro funzione e fruizione con le persone. L'osservazione diretta degli avvenimenti legati a cose materiali e quindi una consapevolezza di tipo tattile, nonché la progressiva diminuzione e sostituzione del contatto fisico coi propri simili, sta pericolosamente inficiando la nostra realtà di percezione, vanificando secoli di storia legati alla principale caratteristica dell'uomo: la propria esclusiva natura analogica e il relativo confronto e attribuzione di significato agli avvenimenti naturali. Oggi, il contatto fisico coi propri simili comunissimo fino a poco tempo fa e legato a carezze, baci, abbracci, effusioni piacevoli e semplici, sta velocemente svanendo, per far posto a numerosi alias di tipo digitale, vaghi, equivoci, inespressivi


Non parliamo poi della paura indotta da simili comportamenti. Provate ad accarezzare un bimbo per manifestare la vostra tenerezza e simpatia. Rischiate di passare per pedofilo. Date un affettuoso e profondo abbraccio ad una persona cara del vostro stesso sesso e sarete scambiati, come minimo, per persona dagli atteggiamenti ambigui o scabrosi.
Insomma, chi come me è nato in un mondo decisamente più semplice e tutto sommato meno comodo dell'attuale, si ritrova un po' smarrito. Per fortuna, cosa rara, ogni tanto si incontrano giovani meno assuefatti e compromessi alla contaminazione digitale della propria anima e ancora in grado di comprendere appieno la necessità di comportamenti empatici più semplici, naturali e consoni all'uomo. E con un abbraccio il cuore si apre ad entrambi.

domenica 29 luglio 2018

Il musicista e la sua affermazione sociale



Fra tutte le categorie di musicisti, il direttore d'orchestra ricopre da sempre un ruolo delicato e instabile, per via della sua principale caratteristica, ovvero quella di far musica senza produrre fisicamente alcun suono. L'aura di mistero e fascino che lo circonda è oggetto di continue valutazioni, critiche, denigrazioni o esagerate adulazioni.  Egli si affida necessariamente ad uno strumento, l'orchestra, che non è paragonabile alla tastiera del pianoforte e che per la natura umana che la contraddistingue necessita di un trattamento delicato, intelligente e naturale. Come si sa, la bacchetta non fa stecche e l'abilità di far suonare l'orchestra in un modo consapevole e personale, senza alterarne l'anima e senza danneggiare il pensiero del compositore, è un'impresa ardua e rilevante che richiede una condotta interpretativa logica e pertinente al testo, ma può essere semplice e banale qualora sia opera di un artista irresponsabile e autoreferenziale.

La valutazione di un direttore da parte dei musicisti dell'orchestra varia molto in base alla cultura e alla preparazione di ogni singolo componente. Oggi, complice una scuola musicale settoriale, circoscritta alla preparazione tecnica e alla sua enfatizzazione, dove la formazione umanistica è pressoché ignorata, la nuova generazione di musicisti cresce quasi completamente avulsa da un gigantesco mondo parallelo, essenziale al completamento della propria natura musicale. Pochi artisti hanno il desiderio e la volontà di riempire un vuoto, spesso si accontentano della propria efficienza sullo strumento al quale dedicano una vita, ma alla quale però sottraggono il giusto nutrimento. La Musica, arte particolare è come un campo che senza concimazione o alternanza di sementi, dopo un po' inaridisce e non dà più ortaggi.
L'educazione settoriale non è certo prerogativa degli artisti. Oggi, in qualsiasi campo vige soltanto il criterio dell'efficienza e della specializzazione. Provate ad andare da un medico generico per un dolore ad un alluce e scoprirete che la maggior parte di loro forse non è in grado di distinguere un dolore artrosico da quello prodotto da un' onicocriptosi. Mancando quella parte intuitiva, quella capacità empatica necessaria al delicato compito, il suo parere sarà quello di proporvi esami totalmente inutili e costosi.

Il pubblico, non da meno, giudice finale per l'incoronazione dell'eroe di turno, in assenza di un minimo bagaglio musicale complesso e di una conoscenza approfondita della storia dell'esecuzione, si accontenterà di ciò che abilmente il business musicale gli propone, trangugiando divi, antidivi, onesti musicisti e squallidi imbonitori. I mass media, veicoli d'eccellenza per la glorificazione, sono abilissimi nel confezionare immagini, storie presenti e passate, ritratti di artisti impensabili e chi non conosce è inevitabilmente preda, più o meno inconsapevole, di queste trappole.
Oggi nel mondo, l'attività del direttore d'orchestra è terribilmente inflazionata e forse numericamente paragonabile a quella di chi pratica il mestiere più antico del mondo. È sufficiente digitare la parola "conductor" su Google immagini e troverete centinaia di pagine che ne ritraggono di celebri e di totalmente sconosciuti, da est a ovest e da nord a sud del globo. Chiunque abbia vissuto il mondo musicale di soltanto quarant'anni fa, cioè stamattina, ricorda benissimo la quantità e la qualità degli interpreti, nonostante il proliferare dei dischi, all'epoca veicoli primari di divulgazione musicale.

Chiaramente, qualcosa si è definitivamente alterato nel meccanismo di questa particolare arte interpretativa. Il mondo dell'entertainment ha assimilato e involgarito ogni cosa, sottraendo quella parte trascendentale che il mondo musicale richiederebbe, ad iniziare da una superiorità di intenti unita ad una consapevolezza del ruolo, divenuto ormai troppo spesso ordinario e marginale. La nascita di molte compagini dedite all'esecuzione senza direttore, è forse una delle prime risposte autorevoli, seppur parziali, ad una consuetudine esecutiva priva di significato. Un modo serio anche per sottrarre quel desiderio e quella necessità di affermazione sociale tipica del direttore d'orchestra e rara negli esecutori o nei cantanti, troppo impegnati a conservare la loro abilità tecnica e interpretativa. Il dramma del direttore è la continua attenzione visiva che richiede e accentra su di sé, da parte dell'orchestra e da parte del pubblico. La prima, soltanto in minima parte può contribuire al successo o all'insuccesso di un direttore, per il semplice fatto che non riuscirà mai ad andare contro la propria natura e suonare male, anche in presenza del peggior somaro anti musicale. Basta parlare con qualsiasi esecutore e vi confermerà ciò. Al massimo vi dirà che Tizio o Cajo son dei raccomandati e che se non dirigono lì le sovvenzioni per l'orchestra o il teatro non arrivano.

Il pubblico invece, proprio per la sua natura inconsapevole e per la non conoscenza della cosa musicale, essendo facilmente influenzabile da avvenimenti estranei potrà essere giudice esclusivo e decretare ascesa o discesa di un musicista, anche eccellente. Da esso scaturisce il complesso di condizioni affannosamente inseguite da molti direttori d'orchestra, che non essendo in possesso di sufficiente struttura interiore, alta motivazione e conoscenza, necessitano di quell'aura particolare per poter sopravvivere in una condizione di difficile valutazione e considerazione. Nei limiti di una semplice verifica delle attitudini e della preparazione musicale, in pochi sopravvivrebbero. Un normale strumentista non ne ha davvero bisogno, perché sa che se suona bene è già salvo. È perfettamente conscio che per valutarlo non è necessario guardarlo, bensì è sufficiente ascoltarlo.

sabato 21 luglio 2018

Il curriculum. Un'ossessione.



 

"Pianista, docente al conservatorio di Mosca."
Ecco quanto si poteva leggere sui programmi di sala in occasione di un concerto del grande pianista russo Emil Gilels.

Mi è capitato più volte di leggere le biografie di molti musicisti poste in calce ai programmi di sala, molto più lunghe delle righe di presentazione del concerto stesso e che avrebbero richiesto una maggior chiarezza. Questo vezzo di citare tutto, dal concerto di fronte agli zii all'età di cinque anni, al concerto per la festa di Santa Reparata, alla partecipazione per la commemorazione di Garibaldi, fino all'agognato trampolino di lancio che spesso rimane tale, è tipico di un atteggiamento molto provinciale e caratteristica comune di chi è abituato, spesso per educazione ricevuta, ad anteporre l'apparenza alla sostanza. In genere sono i più giovani a cadere nella trappola, un po' per l'inesperienza della giovane età e un po' per ingenua presunzione, ma questa abitudine non è estranea nemmeno a chi da tempo è in carriera e da tempo già molto conosciuto.
Una delle particolarità un po' infelici di molti giovani artisti è quella di seguire ciecamente le consuetudini di comodo. Se hanno studiato con un grande musicista, ma sconosciuto ai più, costui non verrà mai citato nella propria biografia. Saranno però citate tutte le masterclass seguite con Tiziovsky, Caioff e Semproneiev, dove in genere si suona, canta o dirige per pochi minuti e  delle quali in genere rimane ben poco, se non la possibilità di allungare a dismisura il proprio curriculum. Col passare degli anni, tutto ciò che è riferito alla propria formazione scomparirà dalla biografia e soltanto chi fra il pubblico avrà avuto la possibilità di seguire il giovane sin dagli esordi potrà conoscere il suo vero background. Per tutti gli altri c'è Wikipedia...


Durante l'intervallo di un comune concerto al quale partecipava come solista, il grande pianista Paolo Bordoni mi raccontò che una volta il suo agente francese gli chiese di scrivere la propria biografia ed egli si premurò di citare per primo il nome di una delle sue  insegnanti. Alla vista di quel nome l'agente gli disse che non era conosciuta e quindi che poteva ometterne il nome. Bordoni, signore umile e generoso, si rifiutò dicendo che a lei doveva tutto e che lui  avrebbe potuto eliminare quasiasi cosa citata ma non il nome della persona alla quale doveva tutto, umanamente e musicalmente.
Insomma, la classe non è acqua.

giovedì 19 luglio 2018

Ricordo di Franco Ferrara





Conobbi il Maestro Franco Ferrara nel 1981 quando ebbi la fortuna di superare l'esame d'ammissione e poter seguire il corso estivo da lui tenuto all'Accademia Musicale Chigiana. Già anni prima avrei voluto partecipare, ma per diverse ragioni mi fu impossibile, per cui sotto certi aspetti l'arrivare un po' tardi ma sicuramente più maturo, mi permise di comprendere meglio il grande personaggio col quale ebbi poi a condividere un mese intensissimo.
Che dire del Maestro: ne avevo sentito parlare da alcuni miei giovani colleghi già anni prima, ma soltanto quando ebbi occasione di incontrarlo mi resi conto della sua grandezza.
Il primo impatto fu quello di trovarmi di fronte ad un uomo buono, molto buono, con quella speciale caratteristica delle persone che quando incontri per la prima volta ti mettono a loro agio. Sicuramente fra noi due ci fu un'immediata intesa di tipo affettivo. Probabilmente di me aveva subito intuito che ero lì esclusivamente per desiderio di conoscenza musicale e nient'altro. Sapeva dei miei solidi studi musicali di Composizione con Bruno Bettinelli e di Direzione d'Orchestra con Mario Gusella, per cui questo già probabilmente lo rassicurò circa le mie pure intenzioni.
Di quel periodo intenso e di alcuni periodi successivi in cui ebbi  occasione di incontrarlo presso la sua residenza romana, rimane scolpito in me il ricordo di un uomo sempre premuroso, perennemente agitato a causa  delle varie sfortune capitategli in vita,  non ultimo il grave ictus che lo colpì qualche anno prima.  Nonostante ciò, la sua ferrea volontà e il grande amore e rispetto per la Musica aveva fatto sì che egli superasse le disavventure soltanto grazie all'immersione continua nella Musica stessa, anche quando non insegnava. Ricordo un avvenimento molto particolare.  In occasione del Corso estivo a Siena venne organizzato un consueto rinfresco presso una villa del luogo,  dove c'era un grande giardino. Alcuni studenti si misero intorno al pianoforte per suonare e canticchiare un po' malamente alcune arie di Rigoletto. Ad un certo momento il Maestro si avvicinò al gruppo iniziando a dirigere. Ebbene, quel gruppo di ubriachi divenne nel giro di pochi secondi una delle migliori compagini. Per lui la Musica era assoluta e in qualsiasi occasione diventava sempre grandissima. Infatti riusciva a trasformare qualsiasi gruppo strumentale "normale" in uno eccellente.  Aveva quel potere impossibile da descrivere che gli permetteva con uno sguardo o una parola di agire nella mente e nel corpo di chi gli stava di fronte. Gli aneddoti sulla sua persona sono infiniti e purtroppo, quando si parla di lui, ed io regolarmente lo faccio con i miei allievi,  si spera soltanto che gli altri credano ciecamente a ciò che noi raccontiamo.  Ricordo che un giorno si rivolse ai tromboni perché non eseguivano correttamente alcune dinamiche. Disse soltanto col suo inconfondibile accento palermitano: "Tchrombooni!". E improvvisamente, quei tre normali trombonisti si trasformarono immediatamente nei migliori esecutori del mondo.


Per quanto mi riguarda, come esperienza di studente, posso soltanto dire che il Maestro riuscì farmi comprendere il vero stile beethoveniano nel giro di cinque secondi.  Un pomeriggio mi chiese di dirigere l'ouverture Coriolano da capo a fondo. Ne avevo già diretto già una parte all'esame d'ammissione assieme ai Notturni di Debussy e alla sinfonia incompiuta di Schubert. Diressi il brano da capo a fondo come richiestomi, scesi dal podio e lui non mi disse nulla. Passandogli a fianco per sedermi in una poltrona del teatro, afferrandomi per un braccio mi fermò  dicendomi: "bravo, bravo, domani la rifacciamo."
Tutto soddisfatto mi sedetti per ascoltare gli altri miei compagni di corso.  Il giorno dopo iniziai il brano e dopo poche battute avvertii tremare tutto il pavimento del palco.  Il Maestro stava salendo le scalette  agitatissimo e facendosi varco fra le file dei violoncelli saltò sul podio afferrandomi per un braccio. "Fermati fermati! Po po po, po po po! Come Karajan la fa! Come Karajan!".  Immediatamente compresi lo spirito che pretendeva io infondessi alla composizione. Lui era  il depositario dell'arte direttoriale Toscaniniana e pretendeva che Beethoven venisse eseguito asciutto, granitico, potente e mai ridondante.  In questo senso il suono che lui aveva avvertito dalla mia esecuzione era lontano anni luce dalla sua poetica. Ebbene, quelle poche parole e quella sua bonaria sfuriata mi fecero comprendere immediatamente la strada che avrei dovuto percorrere in futuro. Devo poi averla diretta secondo il suo gradimento perché me la fece eseguire al concerto finale,  ovviamente con mia grande soddisfazione. A quell'epoca avevo 25 anni e sinceramente, pensandoci bene adesso, da lui sarei forse dovuto andare in età più matura,  che so forse intorno ai quarant'anni.  Purtroppo ciò non fu possibile come non fu possibile frequentarlo più a lungo a causa della sua inaspettata scomparsa. Dico questo perché la conoscenza delle ragioni della Musica da lui pretesa era ovviamente un requisito pressoché impossibile da possedere totalmente a quell'età. Nonostante tutto, lui agì sempre come se di fronte avesse esclusivamente altri ferrati musicisti e non semplici allievi.
Che dire: a volte, penso che l'incontro col Maestro Ferrara, seppur breve, sia valso più di tutti gli anni trascorsi in conservatorio. A lui devo moltissimo, umanamente e musicalmente. Soprattutto gli devo qualcosa che tuttora non sono in grado di definire perfettamente, ma che da quel giorno mi appartiene in modo indissolubile.

martedì 20 marzo 2018

Coraggiosi e amorevoli suggerimenti per i giovani musicisti




1. Quando ti viene affidato un segreto musicale, conservalo per sempre come un diamante prezioso, pronto a mostrarlo soltanto agli intenditori.
2. Tieni i tuoi eroi al livello più alto possibile.
3. Restituisci il tuo sapere musicale, perché si trasformerà in sapienza.
4. Suona con passione senza pensare alla remunerazione, perché quella non è mai assicurata.
5. Quando stringi le mani di un collega, afferrale saldamente e guardalo negli occhi. Capirai se ti stima o se finge per opportunismo.
6. Fai in modo che le tue esecuzioni abbiano sempre un’ossatura fenomenale e siano ricordabili come un dipinto che ami.
7. Se hai proprio bisogno di far musica banale, ci sono luoghi appropriati.
8. Se sposi un’idea musicale, ricordati che hai sposato un mondo speciale. Per visitarlo occorre il passaporto.
9. Studia e lavora come un'anatra. Rimani calmo sulla superficie e pagaia come un matto sott’acqua.
10. Prova la serenità di un viaggio musicale tutto da solo, senza una fastidiosa compagnia di rinforzo.
11. Non aver mai paura di affrontare il bello anziché il consueto alla moda.
12. Non abbassare mai il capo di fronte alle avversità, ma sempre di fronte alla Musica.
13. Prova a scrivere il tuo elogio personale. Non smettere mai di rivederlo.
14. Ascolta sempre chi ha più esperienza, perché sicuramente ha fatto i tuoi stessi errori prima di te e ascoltalo.
15. Condividi il tuo nutrimento musicale con i commensali più giovani. Avrai sempre fresca anche la solita minestra.
16. Scrivi i tuoi sogni. Dentro di te e fuori di te.
17. Proteggi sempre i tuoi fratelli ideali e i tuoi grandi compagni di strada.
18. Sii fiducioso e umile allo stesso tempo. Sarà tutto più facile.
19. Chiama e visita spesso i tuoi genitori musicali, perché verrà un tempo in cui il loro telefono squillerà a vuoto.
20. Le relazioni più sicure sono quelle in cui fai parte di una squadra dove ci si rispetta, ci si protegge e ci si difende l'un l'altro. Non sempre però sono le più opportune e felici, per cui rischi di rimanere sempre e comunque solo.

Lettera dall'Empireo


Pubblico volentieri queste righe ricevute dal sommo J.S. Bach.

Caro e affezionatissimo collega,

Ieri, io e Karl (Richter) stavamo passeggiando negli immensi giardini del Padrone di casa e, intenti a gustare l’immensità del tempo nelle sue infinite dimensioni, ci domandavamo come mai lì sulla terra esso stava sempre più contraendosi. Mentre discutevamo e davamo un’interpretazione di ciò che è conosciuto soltanto a "Lui", Stephen Hawking ci ha rincorso (qui è subito guarito) urlandoci che tutte le sue congetture erano un po’ imprecise, ma che sulla questione del tempo relativo aveva da dirci qualcosa. Io, che come ben sai ho raramente dato indicazioni circa la velocità di esecuzione delle mie opere, ho subito fatto notare quanto lì da voi, oggi più che mai, sembra che il concetto di tempo abbia sempre più un valore assoluto, anziché relativo. O meglio, sembra che tutto venga misurato in secondi, minuti e ore anziché in stagioni, quinquenni, secoli. Intendo dire che una volta certi grandi della terra, pur vivendo la metà di quanto vivete voi, avevano ambizioni a lunghissimo termine e non si preoccupavano minimamente del quotidiano, se non per assicurarsi una minima salute per una vita minata da carestie, pestilenze e disastri naturali, tutti all’ordine del giorno. Pensavano molto in avanti, erano molto ambiziosi ed erano forse un po’ megalomani, ma avevano una caratteristica: immaginavano. Stephen ha subito detto che come per Albert, alla base delle sue teorie c’è sempre stata una forte base immaginativa. Caratteristica difficile da comprendere per menti normali che, sempre siano in grado, al massimo possono immaginare come costruire un ponte sospeso a cento metri di altezza e lungo mille chilometri. Per i normali di livello un po’ più elevato, come il sottoscritto, Ludwig, Wolfgang e amici di altri campi artistici o scientifici, è già un miracolo che si sia riusciti ad avere idee avanzate, anche se non sempre felicemente compresi.



Ecco, il punto è la comprensione. Ascoltando da quassù molte vostre esecuzioni di musiche mie e dei miei veneratissimi amici e colleghi, ho l’impressione che la parossistica velocità con la quale vi divertite ad eseguire la musica dei periodi precedenti al vostro, non permetta di gustare appieno il mondo sonoro insito nelle composizioni stesse. A parte il vostro atteggiamento nel voler ricostruire attimi non replicabili vestendo modi a voi impropri che assumono soltanto un carattere enciclopedico, fumoso e un po’ ridicolo, agghindato con abiti troppo larghi e in luoghi lontanissimi dagli originali, ciò che manca è lo spazio-tempo. C’è il tempo, ma manca lo spazio. Non è questione di velocità, è questione di relatività temporale. Su questo, Albert che ne sa qualcosa perché suonava il violino, concorda. Il rapporto fra spazio e tempo è appunto relativo. Ovvero, ciò che proponete in modo così ostentato, non viaggia per forza secondo la velocità della vostra intenzione, ma ad un certo punto si ferma perché trova l’ostacolo di una velocità non più superabile. Il celebre punto critico, per cui la massa sonora diventa infinita e si confonde col tutto. Il risultato è l’inevitabile incomprensione del messaggio. E poi, cosa non da poco, tutte le musiche hanno già insite velocità naturali che le caratterizzano e che ne determinano il colore. Le indicazioni, comprese pure quelle più tarde con le precisazioni metronomiche, sono sempre e comunque molto relative. Wolfgang, che la sa lunga, si è divertito a scrivere indicazioni del tipo “Allegro aperto”, dove molti interpreti insensibili regolarmente sono cascati e tuttora cascano. Insomma, forse è il caso che riportiate tutto ad una questione di intelligibilità, nonché di comprensione e di ampio respiro. Già, il respiro laggiù si è un po’ accorciato, eh? Troppa frenesia, troppe illusioni, troppe speranze vi fanno dimenticare che dovreste dare priorità alla qualità del tempo, anziché alla quantità. Dovreste cercare di comprendere bene la teoria di Albert, perché essa si applica in toto alle umane attività.



Provate a muovervi a piedi anziché in auto o in aereo e vedrete che improvvisamente il vostro tempo si dilaterà e riuscirete a pensare di più e ad agire di conseguenza, altrimenti non si capirebbe perché io ed altri, prigionieri delle vostre medesime ventiquattro ore e con a disposizione cavalli e carrozze, fummo in grado di donare all’umanità tutto quel popò di roba. Certo, oggi lì da voi tutti fanno di tutto e la quantità di scrittori, pittori, suonatori, saltimbanchi e, ahimè, compositori non si conta. Ma quella si chiama, mi spiace per voi, democrazia, un'invenzione per illudervi di essere tutti uguali e tutti in grado di fare qualsiasi cosa. Avete certamente spinto la tecnica molto avanti ed ora essa vi sta superando, diventando padrona dei vostri comportamenti e inibendo le vostre emozioni. Sulla qualità degli attuali prodotti terrestri, qui siamo tutti d’accordo. Dal cibo per l’anima a quello per lo stomaco andate molto male. I vostri sensi si stanno atrofizzando e certi scafati padroni delle vostre anime riescono a farvi trangugiare qualsiasi schifezza, anche musicale. Sfortunatamente, soltanto pochi fra voi hanno la capacità di discernere e quindi scegliere ciò che più è salutare. Si tratti di corpo o di spirito, poco cambia. Avete i sensi compromessi dal rumore, dalla troppa luce (sapete cos’è il vero buio?) e dai cattivi odori, certamente più pericolosi che in altri tempi. Insomma, se non vi date una calmata, rischiate di ritrovarvi fra pochissimo tempo prigionieri di un mondo svilito, dove il bello si confonde col brutto, il lecito con l’illecito, l’opportuno con l’inopportuno e dove tutto diviene sempre più  relativo. L’unica differenza è che questa relatività non conduce in nessun luogo, perché se diviene componente statica del comportamento umano ne impedisce il suo sviluppo armonioso. Per secoli l’umanità ha prodotto cose grandiose e grazie cose terribili come le guerre o i disastri naturali, è riuscita a rinnovarsi. Adesso le guerre le fate per procura e senza ragione alcuna e, qualsiasi sia il risultato finale, nulla di buono o di bello rinasce da esse. Lo so, per molti di voi anche buono e bello sono concetti relativi, ma Pierre B., che sta scontando pene infinite giù nel sottoscala, condannato ad ascoltare all’infinito Pli selon Pli eseguito su strumenti originali nella revisione tonale di Dubois, ha confessato di essere stato creato da Satana in persona, per costringere generazioni intere a rinunciare alle proprie emozioni ed ora giura in continuazione che i suoi seguaci stanno sbagliando. Se potesse, ma il Capo non vuole, tornerebbe sulla terra per scrivere canti gregoriani. Purtroppo deve accontentarsi. Comunque, ciò che preoccupa tutti noi, Ludwig in testa, è la facilità con la quale riuscite a farvi ingannare. Avendo abiurato alle leggi fondamentali che governano il mondo interiore, ora non siete in grado di governare quello esteriore e vi ritrovate in una Babele di  linguaggi, forme, intenzioni più o meno riuscite e incomprensibili. Vedete, nel concetto spazio-tempo ci sono alcune caratteristiche immutabili che hanno valore assoluto, almeno per le nostre piccole menti. Siccome "Lui" non ha mai ceduto il suo mistero a chicchessia, né tantomeno a noi prescelti, per l’eternità esisteranno ancora tutte quelle belle e brutte cose, molte imperscrutabili, che per secoli hanno stupito l’umanità, laggiù sulla Terra, come sicuramente gli abitanti di altri universi sconosciuti a tutti noi. Per cui, tornando al nostro mondo musicale che ci è tanto caro, evitate di indossare orecchie che non avete, perché la restaurazione di antichi modelli è più adatta a un museo, anziché all’udito di un uomo moderno. L’inganno perpetrato da qualche decennio ha molto arricchito i teorici e altrettanto impoverito i suoni degli strumenti e le orecchie degli ascoltatori. Un caro amico, Herbert, che col bel suono ha lavorato una vita, si domanda sempre quale bizzarra follia abbia fomentato la moda del recupero filologico. Ai miei tempi, ma anche ai tempi di Ludwig o di Robert, non sarebbe venuto in mente a nessuno di rispolverare modi esecutivi antichi. Il buon Felix, che mi ha riscoperto, suonava la mia musica con orchestre di cento elementi. Tutti noi eravamo rivolti al futuro, mentre voi vi nutrite del passato senza averlo però digerito, né avendo ora il tempo per digerirlo. Insomma, è sempre una questione di tempo e di spazio. Siate saggi: allargate il primo e riuscirete a vedere più lontano; restringete il secondo e la visuale sarà più a fuoco. Sarà tutto più chiaro e semplice da comprendere, senza ombre e tutto in piena luce. Si sa che senza luce non si vive.

In attesa di averti fra noi il più tardi possibile,
Tuo Johann Sebastian