Conobbi il Maestro Franco Ferrara nel 1981 quando ebbi la fortuna di superare l'esame d'ammissione e poter seguire il corso estivo da lui tenuto all'Accademia Musicale Chigiana. Già anni prima avrei voluto partecipare, ma per diverse ragioni mi fu impossibile, per cui sotto certi aspetti l'arrivare un po' tardi ma sicuramente più maturo, mi permise di comprendere meglio il grande personaggio col quale ebbi poi a condividere un mese intensissimo.
Che dire del Maestro: ne avevo sentito parlare da
alcuni miei giovani colleghi già anni prima, ma soltanto quando ebbi occasione
di incontrarlo mi resi conto della sua grandezza.
Il primo impatto fu quello di trovarmi di fronte ad un
uomo buono, molto buono, con quella speciale caratteristica delle persone che
quando incontri per la prima volta ti mettono a loro agio. Sicuramente fra noi
due ci fu un'immediata intesa di tipo affettivo. Probabilmente di me aveva
subito intuito che ero lì esclusivamente per desiderio di conoscenza musicale e
nient'altro. Sapeva dei miei solidi studi musicali di Composizione con Bruno
Bettinelli e di Direzione d'Orchestra con Mario Gusella, per cui questo già
probabilmente lo rassicurò circa le mie pure intenzioni.
Di quel periodo intenso e di alcuni periodi successivi
in cui ebbi occasione di incontrarlo
presso la sua residenza romana, rimane scolpito in me il ricordo di un uomo
sempre premuroso, perennemente agitato a causa
delle varie sfortune capitategli in vita, non ultimo il grave ictus che lo colpì
qualche anno prima. Nonostante ciò, la
sua ferrea volontà e il grande amore e rispetto per la Musica aveva fatto sì
che egli superasse le disavventure soltanto grazie all'immersione continua
nella Musica stessa, anche quando non insegnava. Ricordo un avvenimento molto
particolare. In occasione del Corso
estivo a Siena venne organizzato un consueto rinfresco presso una villa del
luogo, dove c'era un grande giardino.
Alcuni studenti si misero intorno al pianoforte per suonare e canticchiare un
po' malamente alcune arie di Rigoletto. Ad un certo momento il Maestro si
avvicinò al gruppo iniziando a dirigere. Ebbene, quel gruppo di ubriachi
divenne nel giro di pochi secondi una delle migliori compagini. Per lui la Musica era assoluta e in qualsiasi occasione diventava sempre grandissima.
Infatti riusciva a trasformare qualsiasi gruppo strumentale "normale"
in uno eccellente. Aveva quel potere
impossibile da descrivere che gli permetteva con uno sguardo o una parola di
agire nella mente e nel corpo di chi gli stava di fronte. Gli aneddoti sulla
sua persona sono infiniti e purtroppo, quando si parla di lui, ed io
regolarmente lo faccio con i miei allievi,
si spera soltanto che gli altri credano ciecamente a ciò che noi
raccontiamo. Ricordo che un giorno si
rivolse ai tromboni perché non eseguivano correttamente alcune dinamiche. Disse
soltanto col suo inconfondibile accento palermitano: "Tchrombooni!". E improvvisamente, quei tre normali trombonisti si trasformarono immediatamente nei migliori esecutori del mondo.
Per quanto mi riguarda, come esperienza di studente,
posso soltanto dire che il Maestro riuscì farmi comprendere il vero stile
beethoveniano nel giro di cinque secondi.
Un pomeriggio mi chiese di dirigere l'ouverture Coriolano da capo a
fondo. Ne avevo già diretto già una parte all'esame d'ammissione assieme ai
Notturni di Debussy e alla sinfonia incompiuta di Schubert. Diressi il brano da
capo a fondo come richiestomi, scesi dal podio e lui non mi disse nulla.
Passandogli a fianco per sedermi in una poltrona del teatro, afferrandomi per un braccio mi fermò dicendomi: "bravo, bravo, domani la
rifacciamo."
Tutto soddisfatto mi sedetti per ascoltare gli altri miei
compagni di corso. Il giorno dopo
iniziai il brano e dopo poche battute avvertii tremare tutto il pavimento del
palco. Il Maestro stava salendo le
scalette agitatissimo e facendosi varco
fra le file dei violoncelli saltò sul podio afferrandomi per un braccio.
"Fermati fermati! Po po po, po po po! Come Karajan la fa! Come
Karajan!". Immediatamente compresi
lo spirito che pretendeva io infondessi alla composizione. Lui era il depositario dell'arte direttoriale
Toscaniniana e pretendeva che Beethoven venisse eseguito asciutto, granitico,
potente e mai ridondante. In questo
senso il suono che lui aveva avvertito dalla mia esecuzione era lontano anni
luce dalla sua poetica. Ebbene, quelle poche parole e quella sua bonaria
sfuriata mi fecero comprendere immediatamente la strada che avrei dovuto
percorrere in futuro. Devo poi averla diretta secondo il suo gradimento perché
me la fece eseguire al concerto finale,
ovviamente con mia grande soddisfazione. A quell'epoca avevo 25 anni e
sinceramente, pensandoci bene adesso, da lui sarei forse dovuto andare in età
più matura, che so forse intorno ai
quarant'anni. Purtroppo ciò non fu
possibile come non fu possibile frequentarlo più a lungo a causa della sua
inaspettata scomparsa. Dico questo perché la conoscenza delle ragioni della Musica
da lui pretesa era ovviamente un requisito pressoché impossibile da possedere
totalmente a quell'età. Nonostante tutto, lui agì sempre come se di fronte
avesse esclusivamente altri ferrati musicisti e non semplici allievi.
Che dire: a volte, penso che l'incontro col Maestro
Ferrara, seppur breve, sia valso più di tutti gli anni trascorsi in
conservatorio. A lui devo moltissimo, umanamente e musicalmente. Soprattutto
gli devo qualcosa che tuttora non sono in grado di definire perfettamente, ma
che da quel giorno mi appartiene in modo indissolubile.
Nessun commento:
Posta un commento