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giovedì 19 luglio 2018

Ricordo di Franco Ferrara





Conobbi il Maestro Franco Ferrara nel 1981 quando ebbi la fortuna di superare l'esame d'ammissione e poter seguire il corso estivo da lui tenuto all'Accademia Musicale Chigiana. Già anni prima avrei voluto partecipare, ma per diverse ragioni mi fu impossibile, per cui sotto certi aspetti l'arrivare un po' tardi ma sicuramente più maturo, mi permise di comprendere meglio il grande personaggio col quale ebbi poi a condividere un mese intensissimo.
Che dire del Maestro: ne avevo sentito parlare da alcuni miei giovani colleghi già anni prima, ma soltanto quando ebbi occasione di incontrarlo mi resi conto della sua grandezza.
Il primo impatto fu quello di trovarmi di fronte ad un uomo buono, molto buono, con quella speciale caratteristica delle persone che quando incontri per la prima volta ti mettono a loro agio. Sicuramente fra noi due ci fu un'immediata intesa di tipo affettivo. Probabilmente di me aveva subito intuito che ero lì esclusivamente per desiderio di conoscenza musicale e nient'altro. Sapeva dei miei solidi studi musicali di Composizione con Bruno Bettinelli e di Direzione d'Orchestra con Mario Gusella, per cui questo già probabilmente lo rassicurò circa le mie pure intenzioni.
Di quel periodo intenso e di alcuni periodi successivi in cui ebbi  occasione di incontrarlo presso la sua residenza romana, rimane scolpito in me il ricordo di un uomo sempre premuroso, perennemente agitato a causa  delle varie sfortune capitategli in vita,  non ultimo il grave ictus che lo colpì qualche anno prima.  Nonostante ciò, la sua ferrea volontà e il grande amore e rispetto per la Musica aveva fatto sì che egli superasse le disavventure soltanto grazie all'immersione continua nella Musica stessa, anche quando non insegnava. Ricordo un avvenimento molto particolare.  In occasione del Corso estivo a Siena venne organizzato un consueto rinfresco presso una villa del luogo,  dove c'era un grande giardino. Alcuni studenti si misero intorno al pianoforte per suonare e canticchiare un po' malamente alcune arie di Rigoletto. Ad un certo momento il Maestro si avvicinò al gruppo iniziando a dirigere. Ebbene, quel gruppo di ubriachi divenne nel giro di pochi secondi una delle migliori compagini. Per lui la Musica era assoluta e in qualsiasi occasione diventava sempre grandissima. Infatti riusciva a trasformare qualsiasi gruppo strumentale "normale" in uno eccellente.  Aveva quel potere impossibile da descrivere che gli permetteva con uno sguardo o una parola di agire nella mente e nel corpo di chi gli stava di fronte. Gli aneddoti sulla sua persona sono infiniti e purtroppo, quando si parla di lui, ed io regolarmente lo faccio con i miei allievi,  si spera soltanto che gli altri credano ciecamente a ciò che noi raccontiamo.  Ricordo che un giorno si rivolse ai tromboni perché non eseguivano correttamente alcune dinamiche. Disse soltanto col suo inconfondibile accento palermitano: "Tchrombooni!". E improvvisamente, quei tre normali trombonisti si trasformarono immediatamente nei migliori esecutori del mondo.


Per quanto mi riguarda, come esperienza di studente, posso soltanto dire che il Maestro riuscì farmi comprendere il vero stile beethoveniano nel giro di cinque secondi.  Un pomeriggio mi chiese di dirigere l'ouverture Coriolano da capo a fondo. Ne avevo già diretto già una parte all'esame d'ammissione assieme ai Notturni di Debussy e alla sinfonia incompiuta di Schubert. Diressi il brano da capo a fondo come richiestomi, scesi dal podio e lui non mi disse nulla. Passandogli a fianco per sedermi in una poltrona del teatro, afferrandomi per un braccio mi fermò  dicendomi: "bravo, bravo, domani la rifacciamo."
Tutto soddisfatto mi sedetti per ascoltare gli altri miei compagni di corso.  Il giorno dopo iniziai il brano e dopo poche battute avvertii tremare tutto il pavimento del palco.  Il Maestro stava salendo le scalette  agitatissimo e facendosi varco fra le file dei violoncelli saltò sul podio afferrandomi per un braccio. "Fermati fermati! Po po po, po po po! Come Karajan la fa! Come Karajan!".  Immediatamente compresi lo spirito che pretendeva io infondessi alla composizione. Lui era  il depositario dell'arte direttoriale Toscaniniana e pretendeva che Beethoven venisse eseguito asciutto, granitico, potente e mai ridondante.  In questo senso il suono che lui aveva avvertito dalla mia esecuzione era lontano anni luce dalla sua poetica. Ebbene, quelle poche parole e quella sua bonaria sfuriata mi fecero comprendere immediatamente la strada che avrei dovuto percorrere in futuro. Devo poi averla diretta secondo il suo gradimento perché me la fece eseguire al concerto finale,  ovviamente con mia grande soddisfazione. A quell'epoca avevo 25 anni e sinceramente, pensandoci bene adesso, da lui sarei forse dovuto andare in età più matura,  che so forse intorno ai quarant'anni.  Purtroppo ciò non fu possibile come non fu possibile frequentarlo più a lungo a causa della sua inaspettata scomparsa. Dico questo perché la conoscenza delle ragioni della Musica da lui pretesa era ovviamente un requisito pressoché impossibile da possedere totalmente a quell'età. Nonostante tutto, lui agì sempre come se di fronte avesse esclusivamente altri ferrati musicisti e non semplici allievi.
Che dire: a volte, penso che l'incontro col Maestro Ferrara, seppur breve, sia valso più di tutti gli anni trascorsi in conservatorio. A lui devo moltissimo, umanamente e musicalmente. Soprattutto gli devo qualcosa che tuttora non sono in grado di definire perfettamente, ma che da quel giorno mi appartiene in modo indissolubile.

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