Quasi tutti gli strumentisti, a tutti i livelli
e per tutta la vita, possono trasformare il proprio strumento in una sorta di
alter ego della propria personalità e sensibilità musicale. Col tempo, il suono
dello strumento si trasforma in ambasciatore del pensiero ideale del musicista,
ne assorbe l'esperienza umana, le emozioni, lo sviluppo tecnico ed altre
caratteristiche legate all'esecutore. Avendo sempre il proprio strumento con sé
e avendo la possibilità di affinarsi, col tempo riuscirà a divenire un'unica e
solida entità indissolubile. Era così un tempo ed è così oggi.
Purtroppo, queste opportunità non sono più
concesse al direttore d'orchestra, per il semplice motivo che rarissimamente ha
a disposizione un proprio strumento, col quale crescere e sviluppare la
personale idea di suono, fraseggio e spiritualità. Nessuna orchestra desidera
diventare proiezione della personalità del direttore d'orchestra, perché ciò
richiederebbe una presenza costante, giornaliera, che implica condivisione di
pensiero, assoggettamento e, soprattutto, una costante fatica, impegno e
concentrazione. Anche i più fortunati direttori "stabili" sono
vittime di un circolo vizioso che li obbliga a tournée, esibizioni con orchestre
estranee alla propria sensibilità e tour de force poco degni per un uomo. Il
continuo turnover di musicisti, perennemente free-lance anche nelle più
blasonate orchestre, impedisce il consolidamento di un impronta sonora propria,
dell'orchestra e del direttore. Forse, non molti sono al corrente che oggi le
più grandi orchestre del mondo non provano più. Hai un concerto della durata di
tre ore? Se ti va bene, un'ora di prova, la generale e subito dopo il concerto.
A a te, direttore in cerca di "qualcosa" che non sia il cachet, la
gloria momentanea e l'affermazione sociale, cosa resta? Nulla, a parte il taxi
che ti attende per portarti all'aeroporto e replicare il giorno dopo la triste
e ingloriosa performance. Alla London Symphony sono già in fibrillazione,
perché Sir Simon Rattle, futuro loro direttore stabile dal 2018, ha già detto
che per un concerto vuol tornare ad avere tre giorni di prova. Praticamente, un
attentato allo status quo, al mondo dell'usa e getta, alla macchina per far
soldi e uno schiaffo alla mediocrità di alto livello.
Ormai, il direttore d'orchestra, sempre che sia
un musicista consapevole delle ragioni della musica, deve accontentarsi di
risultati standard, magari di buon livello tecnico, ma effimeri, momentanei. La
sua presenza continuativa non è più gradita alle orchestre e lui, vittima delle
circostanze storiche, si ritrova ultima figura "non democratica" in
un mondo "democratico" al quale è, volente o nolente, assoggettato.
Ma ciò riguarda anche quegli strumentisti, veri musicisti sensibili, che si
attenderebbero momenti di elevazione spirituale e che invece si ritrovano in
una funzione di lussuosa manovalanza. Un eccezionale musicista, chiamato come
aggiunto alla Royal Philharmonic, mi ha raccontato di una prova della Seconda
Sinfonia di Mahler, con un celebre ma ormai stanco e assuefatto direttore
d'orchestra. Quando al termine di una prova, fatta a spizzichi e bocconi,
chiese al compagno vicino quando l'avrebbero provata per intero, si sentì
rispondere: "Ah, ma noi l'abbiamo già suonata cento volte, la
conosciamo!". E così fu: concerto senza prove.
Mahler ringrazia per la "cortese"
attenzione e la Musica piange per l'umiliazione subita.
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