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martedì 18 ottobre 2016

Il direttore d'orchestra oggi, despota illuminato senza regno.


Quasi tutti gli strumentisti, a tutti i livelli e per tutta la vita, possono trasformare il proprio strumento in una sorta di alter ego della propria personalità e sensibilità musicale. Col tempo, il suono dello strumento si trasforma in ambasciatore del pensiero ideale del musicista, ne assorbe l'esperienza umana, le emozioni, lo sviluppo tecnico ed altre caratteristiche legate all'esecutore. Avendo sempre il proprio strumento con sé e avendo la possibilità di affinarsi, col tempo riuscirà a divenire un'unica e solida entità indissolubile. Era così un tempo ed è così oggi.
Purtroppo, queste opportunità non sono più concesse al direttore d'orchestra, per il semplice motivo che rarissimamente ha a disposizione un proprio strumento, col quale crescere e sviluppare la personale idea di suono, fraseggio e spiritualità. Nessuna orchestra desidera diventare proiezione della personalità del direttore d'orchestra, perché ciò richiederebbe una presenza costante, giornaliera, che implica condivisione di pensiero, assoggettamento e, soprattutto, una costante fatica, impegno e concentrazione. Anche i più fortunati direttori "stabili" sono vittime di un circolo vizioso che li obbliga a tournée, esibizioni con orchestre estranee alla propria sensibilità e tour de force poco degni per un uomo. Il continuo turnover di musicisti, perennemente free-lance anche nelle più blasonate orchestre, impedisce il consolidamento di un impronta sonora propria, dell'orchestra e del direttore. Forse, non molti sono al corrente che oggi le più grandi orchestre del mondo non provano più. Hai un concerto della durata di tre ore? Se ti va bene, un'ora di prova, la generale e subito dopo il concerto. A a te, direttore in cerca di "qualcosa" che non sia il cachet, la gloria momentanea e l'affermazione sociale, cosa resta? Nulla, a parte il taxi che ti attende per portarti all'aeroporto e replicare il giorno dopo la triste e ingloriosa performance. Alla London Symphony sono già in fibrillazione, perché Sir Simon Rattle, futuro loro direttore stabile dal 2018, ha già detto che per un concerto vuol tornare ad avere tre giorni di prova. Praticamente, un attentato allo status quo, al mondo dell'usa e getta, alla macchina per far soldi e uno schiaffo alla mediocrità di alto livello. 

Ormai, il direttore d'orchestra, sempre che sia un musicista consapevole delle ragioni della musica, deve accontentarsi di risultati standard, magari di buon livello tecnico, ma effimeri, momentanei. La sua presenza continuativa non è più gradita alle orchestre e lui, vittima delle circostanze storiche, si ritrova ultima figura "non democratica" in un mondo "democratico" al quale è, volente o nolente, assoggettato. Ma ciò riguarda anche quegli strumentisti, veri musicisti sensibili, che si attenderebbero momenti di elevazione spirituale e che invece si ritrovano in una funzione di lussuosa manovalanza. Un eccezionale musicista, chiamato come aggiunto alla Royal Philharmonic, mi ha raccontato di una prova della Seconda Sinfonia di Mahler, con un celebre ma ormai stanco e assuefatto direttore d'orchestra. Quando al termine di una prova, fatta a spizzichi e bocconi, chiese al compagno vicino quando l'avrebbero provata per intero, si sentì rispondere: "Ah, ma noi l'abbiamo già suonata cento volte, la conosciamo!". E così fu: concerto senza prove.
Mahler ringrazia per la "cortese" attenzione e la Musica piange per l'umiliazione subita.

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