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martedì 5 novembre 2024

L' ebbrezza dell'inutile

Dopo aver vissuto decenni vivacissimi ma tutto sommato calmi e non nevrastenici, posso dire con un po' di tristezza e fastidio che oggi la frenesia ci circonda violentemente. Tutti noi viviamo sommersi da un diluvio incessante di contenuti culturali e non c'è giorno che non compaiano decine di nuovi libri sugli scaffali delle librerie o vengano proposte nuove ed inutili serie TV e film che debuttano sulle piattaforme di streaming e al cinema, album musicali di ogni genere e qualità che sgomitano per conquistare la nostra attenzione già frammentata. Il mondo indefinibile della cultura è diventato una catena di montaggio impazzita, che produce senza sosta e non si domanda se c'è davvero qualcuno dall'altra parte davvero in grado di assorbire questa valanga di stimoli. Sono soprattutto gli artisti ad essere intrappolati in questa spirale produttiva, perché il mercato li spinge ad esibirsi con ritmi sempre più serrati, a mantenersi sempre giovanili, presenti e rilevanti. Un romanzo di due mesi fa è già considerato vecchio, un'interpretazione dell'anno scorso è dimenticata e diventa mito. Questa pressione alla produzione ed esibizione continua ha definitivamente eroso il tempo necessario per la riflessione, per la maturazione delle idee, per quel processo lento e tutto sommato inefficiente che è la creazione artistica comunemente intesa. Intanto noi, dall'altra parte, ci ritroviamo paralizzati dall'abbondanza dell'inutile.


I più volonterosi fra i frequentatori degli ambienti intellettuali accumulano liste infinite di libri da leggere, serie da vedere, musica da ascoltare, liquida o no. In un certo senso, si portano addosso un senso di colpa culturale cronico, come se fossero sempre in debito nei confronti di qualche opera non ancora consumata con gli occhi o con le orecchie. Non esiste più quel tempo di sedimentazione per ciò che leggiamo o ascoltiamo e non permettiamo a un'opera di riecheggiare dentro di noi. Questa accelerazione costante sta impoverendo i creatori e i fruitori. Gli artisti sono costretti a produrre prima di essere davvero pronti e il pubblico consuma senza davvero assaporare. La cultura è la vittima prediletta della logica del consumo compulsivo, della necessità di generare costantemente novità per alimentare un mercato globale insaziabile. È diventato pressoché impossibile riconsegnare ai creatori il tempo per costruire senza l'assillo della scadenza, e a noi stessi il permesso di poter scegliere con cura, di saltare qualcosa, di rimanere indietro rispetto al flusso incessante delle novità. Forse, dovremmo accettare che questo fiume in piena di contenuti multiforme, questa nuova condizione umana si esaurisca finendo nel deserto. È davvero difficile opporsi alla corrente o lasciarsi trasportare passivamente: si tratta di imparare a galleggiare e vivere tra i frammenti di questo insuccesso secolare. La cosa più ardua sarà accettare di essere tutti scopritori del presente che operano scavando tra infinite stratificazioni di oggetti e soggetti, perennemente alla ricerca di qualcosa che (per ora) non esiste più: il tempo lungo della creazione, il respiro dell'arte, la sedimentazione lenta del significato.



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