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martedì 20 novembre 2018

Requiem per la Direzione d'Orchestra




In trent’anni ho avuto circa trecento allievi aspiranti direttori d’orchestra. Alcuni di loro, diciamo il 2% di gran talento, hanno raggiunto fama nazionale o internazionale e tuttora calcano i podi delle più importanti stagioni liriche e sinfoniche. Molti altri hanno iniziato l’attività direttoriale e dopo alcuni anni, complici le tante difficoltà che accompagnano quel tipo di vita, l’hanno cessata o affiancata ad altro: insegnamento, composizione, esecuzione strumentale. Moltissimi invece, non sufficientemente responsabili verso questa difficile arte, hanno abbandonato o si sono dedicati ad altre attività in ambito musicale.

Durante i miei primi ventidue anni trascorsi all’Accademia Musicale Pescarese, di solito si presentavano giovani già in fase di solidi studi musicali avanzati, se non già diplomati. Quasi tutti avevano in comune una sfrenata passione per la Musica, ancor prima della Direzione d’Orchestra. Essa era il nutrimento e motore primario della loro dedizione alla conoscenza e allo studio. Fra loro ricordo chi, già dagli inizi, mostrava una bella predisposizione naturale ed una capacità di comunicazione elevata ma soprattutto una già vivida comprensione della Musica, indipendentemente dall’accumulo di conoscenze accessorie.
Anche oggi, seppur differentemente, nell’accademia da me fondata, ho alcuni allievi con già una notevole capacità di discernimento e un’ elevatissima percezione dei valori fondanti l’arte direttoriale. Oltre che dedicarsi a fondo allo studio, si documentano sui fulgidi esempi del passato e sugli attuali, confrontano e ovviamente ne traggono le conclusioni. Con soddisfazione mi accorgo che hanno in comune un senso estetico molto sviluppato, indipendentemente dalla loro provenienza culturale e dall’età.
Recentemente, un paio di loro si è recato ad ascoltare un concerto di un’ottima orchestra, dove un direttore “col pedigree” si cimentava con alcune composizioni del grande repertorio sinfonico. I tristi resoconti di quella serata, peraltro molto prevedibili, non si sono fatti attendere. Orchestra scollata a causa della gestualità poco efficace, se non incomprensibile del direttore, mancanza totale di assieme e soprattutto assenza di idee. Esecuzione piatta, banale, senza afflato, terribilmente fastidiosa per le orecchie allenate di chi sa distinguere e comprendere.
Ovviamente gran successo, inevitabile dopo l’ultimo boato con cassa e piatti. Dico solo che vidi questo direttore “col pedigree” dirigere anni fa, con la medesima orchestra, uno dei più grandi lavori sinfonico-corali dell’ottocento. Per tutta la durata del lavoro, circa 75’, coro e orchestra non furono mai, dico mai, assieme. E costui imperversa a destra e a manca e come Attila lascia macerie dove passa. Ovviamente, la domanda che i giovani si pongono è come a costui venga regolarmente permesso di distruggere la Musica in questo modo. Sappiamo che le risposte sono tante, ma il punto non è questo. Nel mare di un’ignoranza generalizzata intorno alla Musica, tutto diventa facile da propinare, bello e buono, valido e inutile assumono medesimo valore, ovvero un disvalore. Tutto diventa opinabile e poiché il pubblico non è in grado di discernere se un direttore vale o no, si affida a ciò che gli viene proposto. “Beh, se è lì allora significa che è bravo”. Invece, la massa di incompetenti e mediocri che calca i podi di mezzo mondo (inclusi quelli dove una volta ci salivano soltanto i semidei) aumenta in modo esponenziale. Dopo tutto, chi fra il pubblico è in grado di distinguere se un direttore esegue un fraseggio giusto o sbagliato? Per carità, i cani c’erano anche cinquant’anni fa, ma la quantità di mediocri ora in circolazione è davvero inverosimile. Se la podiomielite un tempo era un virus in incubazione, oggi è diventata una pandemia. Mi si dirà che anche una volta il pubblico non era in grado di distinguere le competenze di un direttore. Certo, ma la differenza sta nel fatto che prima della democratizzazione del tutto, ad argine della mediocrità e a garanzia dei valori si erigevano le grandi tradizioni delle nazioni, le loro tradizioni esecutive e la competenza di pochi davvero competenti a capo della cosa musicale. Oggi, dalla mediocrità si salva ancora un po’ l’esecuzione strumentale, per il semplice fatto che una nota stonata di un cantante o di un violinista la sente anche un sordo, mentre come si sa, la bacchetta non fa stecche. Rimane però costante un certo funambolismo insopportabile che spesso rende mediocri anche gli artisti che non lo meriterebbero.

Forse è venuta l’ora che quei pochi, rari musicisti che si dedicano da un po’ di tempo alla critica musicale, abbandonino il fioretto brandendo la scimitarra, infischiandosene del maledettissimo politically correct e dicendo le cose come stanno. Ne va della salute della Musica e, nel caso della Direzione d’Orchestra, di quel poco di sacrale che è rimasto, a difesa della banalità e dell’improvvisazione che la sta irrimediabilmente distruggendo.

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