Gilberto Serembe
LA VELOCITA' DELLA MUSICA
Ancora studente, ascoltando una serie di concerti di un'orchestra
americana in tournée in Italia con alla guida il proprio direttore stabile,
rimasi colpito dalle differenti esecuzioni di una sinfonia di repertorio che,
per tre sere di seguito ed in tre sale di diverse città, sembravano dirette da
tre differenti direttori. Le scelte dei tempi furono talmente diverse da far
pensare che l'interprete non fosse molto convinto della propria idea musicale.
Allora non prestai molta attenzione all'episodio, per me era più importante
poter osservare da vicino il direttore ed ascoltare un'orchestra davvero
eccezionale; ma a distanza di tempo, per esperienza personale e riflettendo
sull'accaduto, mi resi conto che la scelta dei tempi, per un direttore, è
spessissimo condizionata da fattori esterni, molto spesso indipendenti dalla
sua volontà. Se per
un singolo strumentista esibirsi in pubblico comporta quasi esclusivamente una totale abilità nel riprodurre ciò che pazientemente ha assimilato e
perfezionato attraverso un lungo studio ed un continuo contatto fisico con lo
strumento, nel caso di musicisti che suonano assieme e che interagiscono l'uno con l'altro, subentrano
fattori extra-musicali strettamente legati alla fisica dei suoni, principalmente
quelli della riflessione e della riverberazione delle onde sonore.
Uno dei
problemi più rilevanti da risolvere al fine di una esecuzione ottimale, è
quello di riuscire ad ottenere il migliore risultato anche nelle peggiori
condizioni di agibilità (per l'appunto quando un'orchestra in tournée è
soggetta ad esibirsi ogni sera in sale diverse, per dimensione ed acustica).
Una sala inadeguata per i rapporti delle sue dimensioni, o troppo alta o troppo
bassa, eccessivamente larga o stretta e lunga, metterà a dura prova qualsiasi gruppo
strumentale, determinando seri problemi per l'assieme e per il reciproco
ascolto. Infatti la differenza di dimensione, come pure i differenti materiali
utilizzati per i rivestimenti dei pavimenti, delle pareti e delle poltrone, causeranno un più o meno lungo tempo di
riverbero delle onde sonore, le quali, se percepite in tempi diversi (anche
minimi) da ogni singolo esecutore, porteranno quest'ultimo ad avere tempi di
reazione diversi e l'esecuzione ne sarà inevitabilmente influenzata.
Quando
un'orchestra suona con un direttore, i problemi si moltiplicano. I musicisti
suonano sollecitati dal direttore che a sua volta, per poter sincronizzare il
proprio gesto deve essere in grado di ascoltare la musica senza ritardi e nel
modo più omogeneo. A loro volta gli esecutori devono essere in grado di suonare
assieme potendosi ascoltare l'uno con l'altro e potendo avere il tempo (si
parla di frazioni di secondo, forse di velocità del pensiero) di rispondere al
comando direttoriale senza alcuna incertezza.
Spesso però, in qualsiasi momento
dell'esecuzione, può succedere che, sia il singolo strumentista che il
direttore d'orchestra siano influenzati negativamente dai tempi di
riverberazione della sala dove si stanno esibendo e allora, inevitabilmente, si
scatena l'effetto domino. Nonostante una lucidità ed una padronanza
eccezionali, anche il più abile dei direttori può perdere il controllo su di
una o più sezioni dell'orchestra causando incertezze negli esecutori che a loro
volta, producendo anche trascurabili errori (ad esempio il respiro inadeguato
di un oboe o il rallentamento involontario di una sezione come quella dei
contrabbassi) coinvolgeranno il direttore in un affannoso tentativo di
ripristinare l'assieme e la velocità di esecuzione probabilmente alterata.
I tempi
di riverberazione di una sala influiscono decisamente sulla psicologia di chi
suona o dirige. Un'acustica secca e con tempi di riverberazione corti produrrà
quasi sicuramente un'esecuzione più veloce rispetto ad un'acustica del tipo
"cattedrale", con tempi molto
più lunghi e magari con un notevole rimbombo. E' chiaro: più i tempi di
riverberazione saranno veloci più veloci saranno i riflessi di chi suona e
dirige. Un' esempio banalissimo è l'attenzione che prestiamo ad un tuono in
lontananza rispetto allo spavento causatoci da un fulmine che cade a cento
metri di distanza. Per questi motivi la stretta osservanza delle indicazioni metronomiche così in voga negli ultimi tempi lascia il tempo che trova. La caparbietà di alcuni direttori d'orchestra nell'osservare alla lettera i metronomi di Beethoven, dimostra una mancanza di senso critico, per molteplici motivi: innanzi tutto nessuno è certo che Beethoven abbia rilevato personalmente i battiti del metronomo. E se così fosse stato, era in piena estate? In questo caso, la molla sarebbe stata completamente dilatata e allungata a causa del caldo. In pieno inverno? Al contrario, la molla sarebbe stata ovviamente più contratta, con conseguenti errate indicazioni di velocità in entrambi i casi. C'è da dire anche che le orchestre moderne, decisamente sovradimensionate rispetto ai quei tempi, anche volendo, sono pressoché impossibilitate nella replica di certe situazioni esecutive. Gli strumenti sono più complessi e le sale sono frequentemente più grandi di quelle dell'epoca. E poi, non dimentichiamo che la Musica è l'arte che subisce più di tutte le modificazioni del gusto e della sensibilità di chi suona e ascolta. L'imposizione di modelli filologici "museali", avrà certamente un particolare senso "conservativo o restaurativo", ma ha poco a che fare con quell'atto di ricreazione dell'opera musicale che attinge inevitabilmente alla sensibilità dell'interprete, in continuo rinnovamento e soggetto alle modificazioni ambientali.
Anche
quando sono previsti solisti o cantanti
aumentano i problemi per una corretta conduzione dell'esecuzione. In questo
caso la scelta della sala risulterà basilare, al fine di facilitare al massimo
i contatti con l'orchestra e l'ascolto reciproco. Purtroppo le situazioni
infelici e quelle di ripiego sono all'ordine del giorno, e tutt'altro che rare.
Capita spesso di effettuare prove d'orchestra in ottime sale per poi replicare
i concerti in luoghi inadatti, vanificando ore di lavoro e di perfezionamento;
e non si pensi che questo accada solo da noi. Come esperienza personale potrei
riferire di un mio concerto con l'ottima orchestra della Radio di Bruxelles,
fortunatissima nell'avere a disposizione una magnifica sala prove con
un'acustica tra le più belle e sonore dove abbia mai provato, ma sfortunata
in quell'occasione per aver replicato l'esecuzione in una sala talmente sorda
dove anche l'esplosione di una granata sarebbe stata udita sì e no come lo
scoppio di un palloncino. In un'altra occasione si presentò l'incoveniente di passare da una funzionale sala con un'acustica ottimale ad una cattedrale barocca. L'orchestra di 40 elementi si era trasformata improvvisamente in una gigantesca orchestra wagneriana, montata su cingoli e trainata da buoi. Tempo di riverberazione di quella cattedrale: sei secondi netti.
E'
facilmente immaginabile che tra l'idea musicale astratta concepita in fase di
studio e la realizzazione finale, qualsiasi interprete troverà molte
discrepanze, soprattutto se avrà avuto la sfortuna di prodursi in condizioni
ambientali poco favorevoli. Anche il suonare all'aperto ha spesso i suoi
inconvenienti. Quando Leonard Bernstein diresse la Sinfonia n° 9 di Dvorak con
l'Orchestra Filarmonica di Israele alle Panatenee Pompeiane, suo malgrado si trovò
certamente a disagio. L'esecuzione all'aperto, effettuata in condizioni certamente poco
favorevoli, causò tutta una serie di piccole imperfezioni comprensibili e forse prevedibili, ma
soprattutto portò Bernstein ad eseguire il finale del primo movimento in
continuo accelerando e ad una velocità tale da rasentare il pasticcio.
Purtroppo l'effetto domino non aveva risparmiato neppure uno dei più grandi
direttori del secolo XX.
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