In principio
è il suono
Per molti direttori d'orchestra, soprattutto
quelli alle prime armi, una delle maggiori preoccupazioni durante la fase di studio iniziale di una partitura,
è la puntualizzazione degli aspetti più evidenti, comuni pressoché a tutte le
composizioni. Agogica, dinamica e struttura sono l'ossatura della musica e ne
definiscono necessariamente le caratteristiche formali. Sono la guida per l' intelligibilità del testo
musicale che, senza di esse, apparirebbe come un fluire ininterrotto di suoni e
ritmi senza definizione alcuna. Una
volta completato questo studio iniziale, sempre che per comodità o insipienza non
si inizi dalle banalissime preoccupazioni gestuali, il compito del direttore-interprete
dovrebbe soffermarsi sul fondamentale processo mentale d'astrazione che tutto
racchiude: il concetto di suono.
Per sua natura, il musicista si occupa in
primo luogo del suono e della sua riproduzione. Nel caso sia strumentista o cantante,
egli deve necessariamente confrontarsi con le caratteristiche particolari del
proprio strumento o della propria voce e, grazie all' abilità tecnica
personale, raffinarlo secondo la propria facoltà di percezione. Il continuo sviluppo
della propria tecnica manuale o vocale è indispensabile per poter mantenere una
costante sensibilità e il necessario controllo. Nel caso del direttore, la
riproduzione del suono da parte dell'orchestra non avviene esclusivamente in
base al semplice comando gestuale. Se esso non è accompagnato da una precisa
consapevolezza del suono che si desidera ottenere dagli esecutori, difficilmente
produrrà un attacco con tutte le caratteristiche necessarie per definire e far
comprendere agli esecutori la propria idea musicale. L' inespressa volontà di
imprimere allo strumento orchestra il proprio "sound" sin dal primo
attacco, è una caratteristica ormai comune a molti direttori ed è una delle
principali ragioni per la quale le orchestre tendono a suonare uniformemente nonostante
l'avvicendamento di chi le dirige.
È evidente che ogni autore si
caratterizza per una specifica peculiarità timbrica. La plasticità di Brahms
non ha in comune la gravità di Beethoven, il colore scuro di Schubert non
condivide la brillantezza di Schumann e la levità di Ravel non è assimilabile al
duttile ma determinato suono di Debussy. Anche se può apparire strano,
l'approccio allo studio di una partitura di ogni singolo autore dovrebbe
iniziare dalla personale capacità di immaginazione del suono propria di quel
particolare compositore. Quando in partitura si trova scritto un f a
tutta orchestra, è compito del direttore comprendere il peso strumentale
richiesto, nonché stabilire la caratteristica dell' attacco all'inizio dell'esecuzione.
È frequente osservare direttori che, indipendentemente dall'autore col quale si
cimentano, si accostano ad essi col medesimo atteggiamento. Solo per fare un esempio, il
f scritto
in apertura del Don Giovanni di Mozart non è certo quello di Beethoven nella
Sinfonia Eroica e richiede una morbidezza particolare, pena il conferimento di
un carattere aggressivo poco confacente alla sua musica. Anche l'attacco e la
distribuzione dell'arco da parte degli esecutori sarà differente, seguendo
obbligatoriamente la diversa incisività.
La percezione interiore del suono
desiderato non è caratteristica condivisa da tutti i direttori. C'è chi l'ha
connaturata e chi, nonostante la conoscenza accurata della partitura, non raggiungerà
mai la capacità di esprimerla naturalmente. Ovviamente, lo studio di una
composizione seguito da una profonda elaborazione di pensiero attorno alla sua
caratteristica sonora richiede tempo e notevole applicazione e concentrazione,
nonché un accurato trasferimento dell'idea generale al braccio del direttore. Soltanto
dopo aver raggiunto questo traguardo egli sarà nella condizione di
conferire alla sua direzione un senso davvero "musicale" e non
esclusivamente razionale, ottenendo già col suo attacco tutte le
caratteristiche che l'esecuzione richiede: respiro, ritmo e colore. In mancanza
di questa concretizzazione dovrà necessariamente accontentarsi di una, seppur
lodevole, "ordinaria amministrazione".